BIOGRAFIA
Ilaria Sordi nasce a Piacenza nel 1975, dopo il diploma al liceo classico, si laurea in Conservazione dei beni culturali a Parma dove ottiene la specializzazione per l’insegnamento di materie letterarie (SSIS) e per il sostegno didattico. Lavora per parecchi anni come socia fondatrice di una cooperativa di servizi turistici svolgendo l’attività di guida turistica sul territorio e successivamente, ormai da sedici anni, si dedica all’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado. Sposata e madre di tre figli vive con la famiglia a Piacenza dove tuttora lavora.
E’ moderatrice del gruppo Facebook “Poeti italiani del ‘900 e contemporanei”, fondato da Giuseppe Cerbino. Attiva sui social, crede nella diffusione e nella condivisione della parola poetica anche attraverso questi mezzi.
Dal 2015 porta avanti la sua passione per la scrittura sia in prosa sia in poesia. Ha pubblicato i seguenti testi:
- Argilla e nuvole, Aletti editore ( 2016): silloge poetica
- Tre uova in una scatola da sei, Nencini editore, ( 2018): breve romanzo a quattro mani con L. Bojola.
- La persistenza del cielo, per la collana “I poeti segnalati da Giuseppe Cerbino”), Lepisma Floema (2019): silloge poetica
- Stesura della prefazione della raccolta poetica Tra oggi e sempre di Marco Maresca, Il leggio ( 2020)
- Contributo poetico in ILMIOLIBRO- In Arti e Poesia-LIBRO DI I A P: ANTOLOGIA III (2020): raccolta antologica delle opere in versi delle autrici e degli autori partecipanti alla pagina social di letteratura…
Dichiarazione di Poetica
Personalmente non amo molto le definizioni, forse perché mal sopporto tutto quanto incaselli e credo che la poesia in sé sia allergica ai diktat, posso però dire questo: sono le parole che mi sono sempre venute a cercare nella vita, bussando con impeto o discrezione alla mia “porta” e non ho potuto fare a meno di scrivere soprattutto in questi ultimi anni, in particolare dal 2015 in poi. Potrei dire che la poesia “è uno spiffero sul cuore” poiché ho il vizio di lasciare sempre aperte tutte le porte. Per me la poesia è un modo di essere e soprattutto di guardare se stessi e il mondo: qualcosa nella vita quotidiana sempre mi colpisce e genera stupore assieme alla voglia di tradurre in parole la breve “illuminazione” che mi ha attraversata. Penso che la poesia nasca da uno sguardo interiore o esteriore che è perennemente e sinesteticamente in ascolto e soprattutto dall’urgenza di dire. Del resto amo descrivermi come incallita “grafomane”, l’amore per la parola poi fa il resto. Mi ha sempre colpito una frase sentita per caso che faccio mia ora “Non importa tanto chiedersi cosa sia la poesia, ma cosa saremmo senza poesia”. In poche parole posso dire che la poesia letta e scritta è il mio ossigeno, l’aria che respiro che dilata l’anima e fa sussultare quella parte irrazionale che necessita di nutrimento incessante. Senza poesia sarei meno “viva” indubbiamente. Amo leggere di tutto in genere (sono una lettrice onnivora e molto curiosa) e a livello poetico, per la mia formazione e per il mio lavoro di docente di lettere, nel tempo ho avuto modo di approfondire i grandi autori classici della letteratura (dai lirici greci a Dante, da Foscolo e Leopardi fino a tutti “i grandi del ‘900”). Devo ammettere che provo sempre commozione di fronte ai testi di Montale, Quasimodo, Ungaretti, Saba solo per citarne alcuni; in anni più recenti ho avuto modo di apprezzare tantissimo la “poesia al femminile” di Antonia Pozzi, Margherita Guidacci, Ada Negri e Amalia Guglielminetti, autrici che, a mio avviso, andrebbero valorizzate e riscoperte. Mi piace molto leggere poeti contemporanei che possono avere uno stile e contenuti anche molto lontani dai miei: ci sono autori emergenti, che apprezzo anche attraverso le piattaforme social, dove ho avuto il privilegio di conoscere persone che scrivono davvero bene e che meriterebbero un’attenzione più ampia.
Come dicevo, sono una lettrice onnivora dagli inci di balsamo e shampoo e alla straordinaria tradizione della letteratura russa, dalle etichette nutrizionali dei prodotti del supermercato alla poesia di tutto il ‘900: amo la parola nelle sue forme molteplici e gli accostamenti che tra parole scelte possono nascere con un effetto musicale fatto per lo più di assonanze e consonanze, adoro la musicalità istintiva che scaturisce dalle parole che mi trovano, prima che io trovi loro. Vedo, infatti, il gesto poetico come l’effetto di una spinta interiore che si produce da sé, quasi malgrado me stessa. La mia ricerca si concentra su metafore e analogie che vivo come esperienze soprattutto attraverso lo sguardo sul reale che mi porta a trasfigurare tutto su un piano intimo e lirico. Credo alla parola nel suo significante e nel suo significato, ma al tempo stesso tendo a non dire tutto, a lasciare sottinteso o sospeso il discorso poetico perché sia il lettore a dare il suo contributo e la sua interpretazione perché penso che la poesia abbia una vocazione profondamente evocativa e suggestiva.
Per questo motivo ritengo fermamente che la poesia non sia atto solitario fine a se stesso, ma sia il frutto di una relazione viva tra scrittore e lettore, il quale sa restituire a chi scrive un senso “altro o ulteriore” che serve a creare la comunità poetica. Nella mia ultima silloge il cardine di tutto è l’elemento “cielo” che vedo, a seconda dei casi e delle composizioni in modo ambivalente, sia come grembo divino a cui si anela ritornare sia come limite talvolta posto sul nostro capo, sia come guscio protettivo sia come richiamo verso l’oltre e l’altrove inconoscibili se non per sprazzi subitanei e fugaci. Tutto ciò dal punto di vista stilistico è connotato dall’uso di anafore e di ripetizioni ed è stato accompagnato da un progressivo abbandono della punteggiatura e con l’eliminazione dei punti fermi proprio per quell’idea di sospeso e di discorso in divenire che il lettore è chiamato a completare.
Per concludere faccio “miei” come mantra questi versi di Antonia Pozzi:
“Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza”.
Poesie
STO PIOVENDO
Assaggio una lacrima
senza sapore
Il suo sale è rimasto su ferite invisibili
riarse e sparse
lasciami piovere ancora un poco
voglio irrigare la mia fragilità
prima di indossare
un nuovo sorriso sul viso
Sto piovendo
e non mi importa di questo errore grammaticale
nell’uso di un verbo impersonale
Dalla raccolta “Argilla e nuvole” Aletti editore, 2016
GUSCIO
Un’acqua di rosa mi basta
a sottrarmi al fragore
se picchietta la pioggia sui vetri
e la mia sete: c’è un nocciolo
oltre la scorza
-un atomo di protezione-
dove non importa come occhieggia
all’esterno il ritroso cerbiatto del cuore.
Presente all’appello risponde
ogni amen dei gesti e la mia ostinazione:
leggere i titoli di coda
fino all’ultimo nome.
Dall’ ANTOLOGIA III- ILMIOLIBRO- In arti e poesia-Libro di I A P
Testi Inediti
Quante lune ho contato
nei tuoi occhi sempre acerbi
tanto che le punte delle dita
non bastavano ad entrambi:
ora nel volgermi a ritroso
perdo il filo dei pensieri
nel maldestro tentativo di un ricamo.
I merletti nella scatola di latta
hanno sfrattato i biscotti
e la madreperla dei bottini
ha un pallido riflesso di gote
E’ finita la guerra da qualche parte
Così dicono, almeno
*
Mi conosce solo la parola
non pronunciata ancora
nel procinto dello stare:
un ventaglio di intenzioni
nello stelo della voce
rastremato in gola
prima di ogni bacio.
Il tuo silenzio rappreso
sulle labbra dice senza dire
che tutto è ricordo vivo
nella più vasta lontananza
*
Non troppo diversi
monconi di gessi
dopo aver scritto
una storia qualunque
Così da bambina credevo
che ad ogni candela, consunta
la cera, qualcuno morisse
e allora la pena cresceva
negli occhi fissati alla fiamma
Non troppo diversi
monconi di gessi
si rimane assorti
chissà se assolti
nella smussata vicinanza
di chi rinuncia agli spigoli
*
Il sonno della rosa ti somiglia
quando mastichi il silenzio
in dormiveglia con la guancia
attillata al tuo cuscino
in quel respiro buono
che riconcilia al mondo
ogni stortura in onda lieve
come questa increspatura
che della pelle trova il suo mare
dalle dolci foci e dalle voci di sale