Il 21 marzo, primo giorno di primavera (sconvolgimenti climatici permettendo), si celebra la giornata mondiale della Poesia, istituita dall'UNESCO nel 1999. Ecco il nostro contributo di Primatisti, Poienauti e Versoñadores. Happy World Poetry Day!
C’è uno spazio nella linea del mio sguardo
che aderisce al tuo passo spavaldo.
Arriverai, lo so. Accompagnato
dalla mia incredulità,
che si riprende indietro la sua favola
lacera di insulti di realtà.
E sei tornato, con lo stesso sorriso
di quando hai capito di desiderarmi.
Strano meccanismo attiva il cuore:
brilla negli occhi senza distinguere
tra l’amore e il male.
Accorcia il tempo, come la fune
che mi hai stretto al collo.
Ho sempre pensato che sarei morta
di crepacuore.
Ora so che sarà per soffocamento.
Felicia Buonomo
Credere allo scempio delle promesse volute,
credute e dimenticate
nelle tasche dei jeans sporchi.
Riemergere nella centrifuga
delle idee illuminate.
Avere la bellezza colpevole del sole
che ritira l’acqua insaponata.
Il lavaggio è per definizione insufficiente
davanti all’usura.
E la verità è sempre a posteriori.
Felicia Buonomo
Scricchiola censiti all'inguine
della lingua con estremi di stella
e dialoga con bianca soglia
Indurisce il pensiero in diagonali
di inchiostro e ubbidisce a maleducate
insistenze fino a giungere al duolo
del polpastrello in cui il cuore sfila
perfetti furti a far fuori gli estimi
del canto solingo
ripetuto a persuadere il complice
eventuale
L'ansia della stilo raddoppia l'urlo
al foglio e audizioni si appendono
all'editing della luna che menziona
l'unghia del segno giammai caduta
all'occhio legato dall'acqua a volta
Non mi dispero per la pausa lunga
io peso non lo stampo che è permanenza
ma l'arrivo da cui parte un altro incontro
e quando sento il labirinto al possibile
sole accetto finalmente con mano piena
di distaccarmi un attimo e
soddisfatto mi firmo poeta
Antonio Califano
Esco dalla stalla nel fumo
che gela. Nella sospensione
del ghiaccio
esce dalla porta rovere ho dipinto
granata negli anni che avrei
dopo vissuto
dopo vissuto.
Il Barba Carlu com' ombra usciva
in un lampo a notte
appena arriva: il Barba
Gundu scendeva col bastone,
girava via.
Nei decenni è arrivata Acqua,
scesa dalle foglie. Il fico era
soluzione, il bagno
fresco fra la cella di canne in giallo.
Ora è diverso, non c'è mai la soluzione.
La lista dei mancati è un lenzuolo
Caro
quando li hai trapassati col denaro e salvati
nella vasca piena d'acqua che allaga il mondo
nelle adorate barche di casa
che asciuga ogni mattina di vento al sole.
La Bellucci mi sorride come quando l'ho avvocata
mica mi ha pagata
e la vedo nella camminata ma
Sento che
il tempo grata via un mare d' anime
dagli amici sinceri cambiati che han fatto figli,
preso bordate
nei carrugi buoi.
Vedo Venezia che s' inverna e allaga,
la donna abbronzata che non crede,
la donna di Hilde si allaga
quando sento di là tramesta male.
Mai tornerò al mare quando penso
che non le ho detto di Napoli e del tramonto,
dormire e
Le mattine qui in questa Escozia sono
senza erica, il colore
governa il mondo nella pasqua nuova piena di neve
dei campi di mattino al Gran parco
dove
mi manca lo zio che governa il babbo suo
nel silenzio dei capri alati contrattati.
La potente bellezza a colpi ha arato le stanze,
urlato, morto Tinti e lo scoiattolo
mi guarda ancora quando mio padre
rideva perché il gatto ci fregava
noi pessimi pescatori e frodo
è il sogno di questa ragazza
che suona in galleria nella pazza magia.
Giorno per giorno mi porto al Canale,
Beppe e Enrico, Massimo Mauro
sentono la pressione
che vivo Cara nascosta quando amo le mani,
la luce che guardi dentro me e te
ma solo per averli tutti insieme
perché quando ti perdo sono più avanti
l'uomo che salta in fronte
al brivido azzurro degli astanti.
Massimo Capirossi
Immagine dell'opera dell'artista Marco Vacchetti.
ALBA DOMENICALE
Un livido d'ambra
sfida la cianosi silenziosa
la babele onirica crolla
sotto i colpi dei primi canti.
S'apre di buon mattino
quella contusione nel cielo
l'aria si crea spazio dentro me
doma le inquiete domande.
Santifico con la sola presenza
questa riciclata domenica
la liturgia dei tuoi occhi
rimane per me il Vangelo che sfama.
Michele Carniel
Ho devoluto all’aria 3 sorrisi:
Il primo,
per la Poesia [lo dico pianissimo]
la direzione sofferta dei miei giorni
la stazione dove ristorano le mie morti.
Scrivo le mie righe per diletto
Scrivo le mie righe per difetto
Ricordo voci che urlavano “la poesia ci salverà”
ma dall’orizzonte non emerge nessuna zattera
resto in piedi per essere più vicino al cielo
mi muovo da fermo e colpisco forte
mi resta in mano solo il cuore
per sfidare da guerriero il verdetto della sorte.
Il secondo,
per Alda.
Se è vero che 'il poeta vende i suoi guai migliori'
io acquisto quelli della pazza che mi vive accanto
che mi scopa l'amore con una carezza di fumo
e mi bacia la fronte con giustizia di parole.
Hai educato il mio cuore con la tua poesia
nelle stanchezze sfatte delle mie serate
e con un brivido zittito solo da 'I sepolcri' a te cari.
Ti sorrido si
e se ti busso alla porta non aprirmi
lo faccio soltanto per non morire adesso.
Il terzo,
alla 'Trisomia 21'.
A chi diffonde lo sguardo gentile
d'una genuinità non nutrita a parole
di vite rubate al cielo prima d'ogni volo.
Se solo sapessi rubare all'ipocrisia
la contagiosità d'una bugiarda umanità
donerei a voi la chiave per aprire la mente
a chi nega lo sguardo al sorriso perfetto.
Michele Carniel
se ora tu mi baciassi
penserei ad uno sbaglio di misura
un indice rifrattivo
senza prospettiva
allora distoglierei lo sguardo
in attesa che passi
come un brutto raffreddore
il traffico di punta
l'ascensore fermo al piano
Matilde Cesaro
Ritratto di donna
Rimani, va via, sta solo un poco, fermati, riprendi il passo, torna a correre andare piano
Piegati in piedi e sosta, riprendi corri, rallenta striscia
Solleva, abbassa, piega, componi, scomponi, ritaglia, rifinisci, finisci, smetti
Frammenti, pezzetti, tagli, resisti, sfuggi, ritrova, consola, carezza, schiaffo
Schiaffi,
scappa, striscia, struscia, stride, irride, deride
canta, urla a squarciagola e ingoia, lacrime, rabbia, delusione, attese
vomita, godi, ingoia, respira, sputa
stringi, soffochi, respira, respira
scappa, scendi, vola, corri, sfuggi, fuggi
libera, salvi tutti!
Uno, trentuno, non c’è più nessuno
Uno, trentuno, digiuno fiatone
Uno, pugno coltello, coltello colpisci
Colpisci
Occhi chiusi
per sempre
Matilde Cesaro
L’odore delle stagioni
Quanto l’odore delle stagioni
leste incarnato nel muschio
risuona nell’aria tremula...
e come un amante saggia
la pelle imperlata della sua
cerva in amore
le gemme rigonfie alla carezza
d’aprile
Quando la valle indossa
il suo abito di primule
e si fa culla
tu fissalo all’eterno
perché ritorni
Maria Gabriella Cianciulli
Argine la bocca appena chiusa ai baci
tace Saturno in pellegrinaggio verso Giove
ora che il pianeta incrocia tangente
l’altra atmosfera, cambia il karma
così ogni sera per la gente ignuda
appicca il fuoco alle fascine strette in mucchi
gli occhi socchiusi dopo gli amplessi
ecco il ventuno del mese, i crocicchi stellati
tra mare e monti, arriva lo stormo alato
a navigare il cielo
con forza immane, il vecchio aspetta
sotto il campanile l’ora decima
della nuova era, nasce più vera
l’uva nera per la vendemmia
al centro dello sterno dove si annida
stanco il cuore, la domanda estrema:
si torna al brodo primordiale?
si ricomincia da zero, falcidiati tutti
come zanzare? oppure si procede
per drappelli scelti onorando
dei fratelli morte e memoria?
avremo ancora storia da raccontare?
dimmi, cielo armati di luci e di eserciti satelliti,
siamo in tempo per salvar almeno uno
di questa genia dannata, nata per radere al suolo
foreste, boschi e cittadine?
potremo poi riparare in un giardino
cortile, piazza, paese oppure ostello
pieni di un vuoto magico e ribelle
senza ego e spade, senza bastoni e oro?
vorrei per un momento
toccare con un dito leggero
le labbra di quel Dio minore
e fargli dire Si
senza fiatare
Floriana Coppola
AZZURRA COME IL CIELO
Non so spiegare quella sensazione
che a volte prende e mi fa stare male,
un vuoto senza forma né colore,
cupo come la notte,
nel quale mi ritrovo a sprofondare.
(e pari a un urlo che percuote dentro,
s’infrange come un'onda dentro al mare).
L’immagine distorta,
riflessa nello specchio,
di quella me che non riesco ad amare
sogghigna irriverente
e come calamita a se mi attrae.
E’ proprio in quei momenti,
quando smarrisco il senso della vita,
quando non ho più forza per lottare,
che tu tendi la mano,
e come un faro in mezzo alla tempesta,
mi guidi sul percorso per tornare
in superficie senza farmi male.
Ed io ti sarò grata all’infinito,
compagna di dolore e di fortuna,
amica riservata e confidente,
senza di te io non sarei più niente.
E affascinata inseguo la tua scia,
azzurra come il cielo, sei Poesia.
Silvia Cozzi
avete visto capelli volare?
portavano la cenere dell'ardore
seminata fiamma della follia
è possibile reinventarsi nella luce?
è possibile morire per amore?
Ricordo essere nata così
dentro l'ovulo di mia madre
sputata da mio padre
sento ancora pulsare le vene
estasi di edema carnale
ho imparato le prime vocali
poi sillabe, sibille del piacere
udito mia madre godere
(la sua unica volta), mio padre amarla
si nasce così tra sudore, stupore
nel pudore dell'acqua
si nasce così tra il respiro cardiaco
nel gemito lirico del godere
si vive in declinare assenza
inciampando verso la morte
ma poi chissà
se quando si muore
succede davvero
Ginevra DellaNotte
"C'è qualcosa di nuovo
oggi nel sole
anzi di antico.."
Cantava il poeta al
balbettio della Primavera
Attesa con le note di sempre
avvertita ispiratrice di poesia
P & P. Semplice l'abbraccio ma non scontato anzi rovesciato
Viole profumate ma labili
aria trasparente ma infetta
Fiori aperti alla vita e spanati
nel pallore della morte.
E mari cieli azzurri ma subito burberi freddi
ostili ai voli rattrappiti
di rondini memori e deluse
Così la poesia.
Parole storte e scialbe su fogli bianchi
tentati e ritentati
Scorrere di inchiostro cruento o salvifico
Dolcezza e asprezza
Fluire e stridere di intoppi
Eppure è meraviglia panica
la luce tenera della primavera ma anche il buio crudo di marzi pazzi
Perché la primavera ha in sé ancora le stigmate dell'inverno
Sogna la Musa la poesia anche se è ciò che non sembra o sfugge o grida
dagli spazi vuoti
o sproloquia insulsa tra parole trite
Non poetiche? Eppure chi le scrive si dice poeta o peggio è riconosciuto tale
Le stagioni non sono più le stesse
e la poesia rincorre invano una identità
Blocchiamola alla ovvietà mondiale dell'uguaglianza...
Poesia /Primavera.
E ci assestiamo quieti
nella speranza della
creduta probabilità
Saluto l'avvento della Primavera
ma devo pensare a Botticelli
Mi inchino alla poesia, ma ho pochi nomi in testa e cerco e trovo dove
chi dice di capire non vede non sente
Amo la Primavera dei tempi brulli freddi inodori
La Poesia nei versi veri
non preordinati da chi
pretende di definire
la divinità del poeta e lo confonde con chiunque
Amo i fiori e le spine
I profumi e le bellette
amo del poeta e della poesia il farsi faticoso
della parola appesa al ritmo sospesa nello spazio
O distesa acquietata ferma chiara comunicata
riconosciuta
Saluto il 21 Marzo come
ogni altro giorno
di ogni altro mese
E non mi sorprendo se si comporta da Ottobre
E continuo a macchiare fogli bianchi a rincorrere
parole nuove e versi che dicono
Che sia la stagione della trasformazione
la primavera di un terreno
che ribolle di vita
la poesia di un verbo
che crea e non solo
suona fino a rimbombare
inghiottito dal suo rumore
Elena Deserventi
“PIÙ IN LÀ”
Raggiere d’occhi comuni
spalancati sui muri
graffiano lacrime
impotenti
opercoli di smarrimenti
nella chiusa fame d'aria.
Più in là
sulla via dell’alba
una brezza sparge cadaveri
fino al bordo dei crematori
in-gi-no-cchio
anime recesse
nell'assenza di contatto.
Spartiamo il peso del commiato
in questo marzo incenerito
lacrime arse
senza ristoro dalla paura
famiglie sbiadite
nelle notti più sole.
Oltraggio alla vita.
Più in là
il sorriso di chi rimane
con lo stupore di una madre
che partorisce
e la voce di chi prega
per una vita che guarisce.
Senza indugio un fiore
sboccia
respira nel tempo
il primo attimo di vita
c'è coraggio nel suo lasciarsi
andare.
E in questa folle voglia d'esserci
più in là
--------------più in là
-----------------dispenserò fiumi di abbracci
Più in là.
Manuela Di Dalmazi
Fu una colazione in un bar del centro, una mattina.
È stata i pinnacoli più alti del duomo,
un tempo,
e più su, oltre le polveri della città, su
verso le cime delle montagne.
Offrì ospitalità dell’anima all’anima,
tutto il meglio curò come un giardino,
medicò ferite in saggezza. L’ironia della vita
ripagò con ironia.
È stata indimenticabili discussioni, studio approfondito,
curiosità in rispetto,
desiderio di cambiarsi, forza di superarsi,
destino.
Ci accompagnò sempre, sapeva farlo:
ogni cosa, ognuno, ebbe importanza.
Lei, che fu strada a sé e ad altri,
adesso nell’ombra s’incammina.
Nessuno
lo avrebbe detto, chi lo avrebbe voluto.
Nessuno era pronto.
Le cose continuano senza di lei. Da oggi
le cose mancano di lei.
Carlo DI Legge
Questo tempo distratto con noi
assente nell'attimo prima del dopo
spezza la catena dell'emozione
blocca lo spazio interiore il cosmo
dell'anima arresa all'amore altrui e
altrove nessuno se ne accorge siamo
figli di un cardine sacro profano
la città della passione che non vede
amati amanti amando seppur la stessa
fazione in un valzer di parole e di dolore
la testa e il cuore tramano e tremano
nell'inverno di primavera di un fiore
Antonella Di Pietro
( A ) M A R E
F o r s e, ero tua
senza saperlo davvero
un giorno hai disegnato una vocale
per un sasso di sale e immaginando
nel tre il numero perfetto
eri tre baci per tre onde
I n V e r n o, nonostante tutto
nella vista luce in fondo alla collina
mi avevi sempre portato il mare
un destino velato di spuma
semmai ne avessi avuto uno
P r i m a V e r a, arrivi adesso
ombra di luna bianca
o poesia senza versi, più Vera
della fede che mai porto al dito
un altro cerchio
nessuna preghiera per il sempre
(A) m a r e, due stagioni
onde sovrapposte senza tempo
accogliere e plasmare
il sesso era per fare l’amore
mai ricordo il contrario
Mariarosaria Di Sisto
foto Federico Iadarola
IL LUOGO DEL NON SILENZIO
Respiro questa città
che ha rapito l’ombra dei miei passi
che in grembo ha custodito
la luce dei miei occhi stupiti
non è dato scoprire un miraggio o un approdo
e a girare tra vichi e strettoie
sale alla gola quel respiro affannato
di pensieri in guerra.
Ritrovarsi a occhi sgranati
a misurare le nuvole
tra case a corte dagli occhi neri e dolci
scoprire sussulti di terra
tra i rami ossuti d’inverno e
gemme scoppiate nei giardini fuori le mura
dove tra lo sciorinare dei panni in croce
torna a stento a ridere il sole.
Nell’urgenza di vivere il vento rincorre le voci
tra voragini e crepe spigoli e basolati
tra l’aroma di un caffè e un fritto sfrigolio
il passo si fa lento
non fuga ma passeggiata
tra meraviglia e stupore in questo luogo del “non silenzio”
ritrova la strada il “mio silenzio”.
Carmela Carmina Esposito
PER I MORTI
I miei occhi non hanno visto
seppellire i morti:
i morti hanno seppellito
i loro morti.
Erano più morti che vivi
negli ospedali e nelle case degli ospizi,
erano più morti dei morti.
I vivi erano i morti
e i morti erano i vivi.
I miei occhi non hanno visto
né cenere né ossa:
erano già nati morti
tutti i morti quella notte.
Alfonso Attilio Faia
(per i morti di Bergamo, marzo 2020)
SCRIVO VERSI
Scrivo prosa in versi
e versi di prosa,
storie in prosa
e storie in versi:
con reverenziale timore
e con pudore
scrivo versi d'amore.
Amo, solo amo
e scrivo versi,
versi in prosa
e prosa in versi
con reverenziale pudore
per amore dei versi.
Alfonso Attilio Faia
C'è un chiodo da ribattere
nella scarpiera vecchia ed una scheggia
di vetro tra lavatrice e muro stretto
la pentola sul fuoco
il ragù scongelato
la lavastoviglie ha già lavato
i panni ad asciugare
pioverà domani
manca il tuo pane nero
l'angolo doccia va lavato
non ho avuto tempo
il caffè nella moka
ricorda di chiudere il gas
si' si' c'è la sicura
ma non si sa mai
alle cinque escono da scuola
io non ci sarò non dimenticarlo
ho comprato la tachipirina
vedi tu s'è il caso
nella valigia
ho messo tutto
anche le foto di quella volta al lago
sono cosi 'belle e tu sembri George Clooney
so che rimarrai sorpreso
anch'io
non cercatemi vedi l'autunno rimbalza
sulla lingua delle foglie
vado.
Marina
Raffaele Ferrari
Nobiltà:
Le nostre ore come un soffio
nell'essere
Vivere è l'anima del lampo
Qui finalmente
si respira
Il silenzio del tempo
*
Liberazione dalla schiavitù
Una fiammata di cuori
All'improvviso ri-arse
La vita
Che la muta
Ombra
Spense
Giuliano Galluccio
Foto dal sito web Pixabay
IL CILIEGIO RIFIORITO
Or sei rifiorito, con le ciocche bianche
anche il chiaror lunare tu potrai sfidare
e opporre la tua bellezza alle stelle che
non conoscono nessuna primavera. Ma
non t’inorgoglire, mio ciliegio, quando
sulle foglie s’accanirà acqua e vento, la
fissità ambirai, priva di gioie e di dolori.
Gennaro Iannarone
I VOLI DI PRIMAVERA
Primavera, quando arrivi ogni albero si distende
verso il cielo, innalzando le braccia con le punte
delle foglie che si fan più aguzze, par che voglia
sollevarsi da terra, quasi che non abbia più radici.
Stagione mesta senza questa tanta voluttà per me
che sono rattrappito alla sua venuta, ma non vi è
più alcun arpione che mi ancori a questo mondo,
se m’involucro in corteccia d’albero potrei volare.
Gennaro Iannarone
AUTODAFE
Tu l'avevi incrociato lo sguardo ma i suoi occhi
ormai rivolti altrove, era stato quell'impercettibile
sostegno, una prova non documentata e raccogliendo
residui di lavorazione scarnificati e asciutti
annotavi certificando quella scia di mutamenti,
le irate esecuzioni, fra abbandoni e inciampi
Ti eri compromesso, pattinavi su quella lastra di pensiero,
la memoria vettoriale di un relapso nell'onda risucchiata,
schiuma, icastica bordura, trapano solare di un tal maneggio,
anche l'innaturale spasmo minuziosamente esaminato,
ogni sbavatura che pareggiava i conti nel ralenty
onnivoro e salace, giusto un dettaglio come da sentenza
Ma tu ne eri certo, così come compilando in dettatura,
indenne filamento, cibo che non ha coscienza,
estraneo all'eresia e intimamente avulso alla dottrina,
disciplinato esecutore, integro e sazio, mentre l'indagine
affonda nel corpo soggiogato, perlustra le anse intorpidite
corregge le devianze dei tessuti, ricama un arco celestiale
Costanzo Ioni
SEI NATA
Tutti pensano a te
come a un fiore reciso
Non sanno che tu hai
radici profonde
nel mio più bel sorriso
Oana Lupascu
GERMOGLI DI SOLE
Soffio di mormorii
Risveglio sotto foglie
Accartocciate
Raggrinzite
Calpestate
Sul terriccio squallido
Del giardino dell'anima
In quest’ultimo inverno
Incede ma non cede
Nel riverbero di un'ora
Smisurata leggiadria
Per l’affranto mio cuore
Dopo aver tanto pianto
Ha schiuso
I suoi sogni al sole
Sentiero di vita
Irto di illusioni e affanni
In questo malessere
Sghiaccia il tuo cuore
E la serenità torna negli
animi
Dopo il torpore
Rinati alla prima
Tiepida stagione.
Oana Lupascu
SI PREDICA
Si predica dalla venuta dell’Uomo
che promise dando il sangue
un mondo buono giusto e fraterno
un’altra vita presso il Padre
Siamo alle parole a iosa all’esterno
all’aria Non i martiri e i miracoli
scuotono il fascino delle promesse
Per un lembo di vita eterna costano
Incensi e messe Non varia la giungla
della caverna Non c’è lucerna perpetua
se manca il sangue dell’olivo E pace
e guerra hanno sempre la miccia accesa
Non c’è delle due un dominio assoluto
La terra resta muta anche quando l’uomo
a piene mani sparge acute spine Sulle rovine
campano corvi e mastini il fiele della pace
Pasquale Martiniello
SIAMO VENDITORI
Siamo venditori di fuochi fatui
e fantasmi di benessere e speranza
All’amo dell’inganno abboccano
dodici milioni di cretini drogati
anche dagli oroscopi mattutini
I nostri clienti sono ricchi sfondati
intellettuali inconsistenti di radici
i delusi che questuano appigli spinti
a pallida deriva
Noi li ricostruiamo lavorando sui loro
portafogli senza mai spedirli al creatore
Se è florido il mercato dell’occulto
e la magia è la società ferita dal malessere
Guardiamoci allo specchio Tutti siamo
irrazionali Nessuno accetta se stesso
roso dall’invidia di scavalcare i rivali
Guai se fossero tutti gay felici in corteo
Per noi chiamati truffatori e ciarlatani
il vento spira a polmoni pieni È la medicina
ufficiale che ha rotte le ali e ostacola sogni
che noi accendiamo su abissi neri di psiche
Pasquale Martiniello
SIAMO IN UN PAESE
Siamo in un Paese allegro
di frane dissesti e guai
Tengono la scena i soliti
parolai La democrazia
nella realtà non ha radici
Viviamo nel dominio delle
caste Piovono condòni
su condòni Gli scaltri che
evadono le tasse se la ridono
a spese del reddito fisso
Non c’è crocefisso che faccia
paura Non basta il divisorio
fra ricchi e poveri Ora c’è
pure quello tra furbi e fessi
L’accesso alle carriere avviene
con criterio censitorio corporativo
Dall’inferno al purgatorio non
c’è varco Il paradiso è ereditario
per figli d’arte Questa è la verità
Il resto è fumo vento in libertà
Pasquale Martiniello
Equinozio
Non è stato detto ancora
non è stato detto tutto
di ciò che è stato non è stato detto
dell’angolo di grazia
e dell’angolo di orrore
ancora non è stato detto
dell’inferno che brucia tra la gente
del raggio che attraversa il guscio
degli agglomerati spogli in fondo alle pupille.
Non è stato detto
come questo tempo confonda bene le stagioni
e la risacca conservi solo vaghi echi di fragore:
non ha nome né anni luce
la voce che sfugge al nostro udito
e l’orbita del giorno annega un po’ alla volta
nel silenzio.
Nel vuoto restano le attese
con la vena gonfia sulla fronte
e le cicatrici in nuda esposizione:
noi siamo ad aspettare
(a desiderare) mondi
inermi, senza scagliare frecce
senza addolorare chi rimane.
Riaffiora in ogni sguardo l’orlo dello strappo
la pena di non soffrire mai abbastanza anche per l’altro
e
oltre la parola
nella polvere
sopra i volti
non si leggono nemmeno più i sorrisi.
Ketti Martino
FRAMMENTI DI RICORDI
Primavera
era
e il sole
rischiarava
i nostri volti
assonnati
dal troppo inverno
Primavera
era
quando
i nostri piedi nudi
sull'erba nuova
solcavano
come navi
terre vergini
Primavera
era
quando tu
stavi accanto
a questo cuore
già stanco
di rinascere
Alessandra Massera
SULLA SOGLIA
Dunque si cade terra o fanciulla
nel colabrodo degli anni trascorsi
nei viali dell'abbandono troppo grandi.
Gianpaolo G. Mastropasqua
Chi dice mai che la fame non guarda
mai in faccia nessuno è un cliché.
Ti vede bene se ti muovi sui quarant'anni
garzone del bar senza mancia
due figli una spenta dimora.
Cade la faccia dal lato della pudicizia
dall'altro la sveglia incessante
della strada vuota.
Chiama come la tristezza
quei pochi discorsi che adesso si fanno
quasi sottovoce nascosti negli angoli
vuoti di un treno, invisibili come dèi pari
infernali nelle castigate pronunce
dei giorni, e tutte uguali.
Sul comodino la sera un telefono
che ti dirà se domani sarai vetro, pioggia
cattivo tempo per chi dovrà starti a sentire
quando la dirai, col silenzio
la faccia buona e impotente di chi
è stato visto una volta, grafia bruciata
che numera il sogno della libertà
lo abbandona in frantumi alla vita.
*
Ma voi correte bambini, correte
e fate leva dove il bradisismo si lega
alla pietra di inciampo
alla terra sottratta nel gioco
dalla discendenza dei pari.
E fate scudo con primule d'acqua
alle redini che hanno frenato
l'odore dei campi, la vista
di certi bastioni sul mare.
E fate come sapete del riso
del pane salato pagato
con le interminabili ore
della settimana di lavoro nero
scheggiata dai sabato sera
di peste rinchiusa tra le
quattro mura. Verremo a
starvi a sentire a guardare.
Capiteremo dagli occhi più scuri
alle vette dell'immaginario,
risorgeremo le trame di musica
da qui agli umori stellari.
Perché più giorno sia nel Mezzogiorno
e slegata la notte dai curvi dirupi
di rassegnazione, perché confitta
la lucciola nelle ali della farfalla
per aria se schiara, per aver
tanto da vivere che la memoria
non si può nascondere a chi
corre lettere d'ali variabili
nel nome del cielo azzurro.
Marco Melillo
LA NOTTE
Torniamo laggiù
dove lunghe dita di pietra
s'aggrappano al manto della notte.
Sulle spalle dell'oscurità
la gerla rigurgita utopie.
Nell'intrico dei rami vaghiamo
alla ricerca del mistero.
L’orecchio interiore si scontra
con sinfonie inesplorate.
La voce notturna del mare
gemma spumeggianti visioni.
L’occhio, al buio avvezzo
con fili di luna tesse
luminescenti silenzi.
La capocchia del fiammifero
avvampa la miccia della tenebra.
La routine esplode
Un vortice stellare risucchia
la tediosa realtà.
Sfilacciati atomi di monotonia
si disintergrano in mille pezzi.
Il linguaggio notturno vomita
uno ad uno i suoi simboli.
Con uno spruzzo di sperma dorato
ingravida le menti.
Sull’orlo del sogno avvinghiati:
Eros e Thanatos
germinano poesia.
Serenella Menichetti
Quello che avevamo sognato
Che distanza c’è
tra quello che avevamo sognato
e questa strada vuota.
Eppure conosco uomini
che hanno portato croci
e di infinito amore
macchiarono il mondo.
Forse il loro seme
nasce ancora in noi,
scolpisce il nostro cuore,
crea anime.
Vera Mocella
Magnolia
Gli occhi spalancati
su questo Cielo,
su quest’aria così pura
che sa di magnolia e di verde.
Ritrovo me stessa e il mio canto.
In questa solitudine estenuata,
troppe voci non ascoltano.
Nel silenzio
ritrovo il mio tutto.
Vera Mocella
Si sono perse le ali nei sogni
si sono perse in una sensazione
così netta di compenetrazione
le ritrovi involte negli alloggi
sottostanti dove dimorano i pugni
un gufo le riporta nel sonno
con un intento di sviluppo amniotico
antico sorgivo e sapido
sapendo che non ha separazione
niente di tutto ciò che si possa
ottenere e dettare e accudire
se non si è almeno un po' illuni
e ben disposti al raccoglimento.
Massimiliano Moresco
Intenso, variegato, blu, intendo
parlare introducendo tentazioni
di tramontana, pulizia, cambiamento
la milizia di Dio infatti è un flusso
d'aria, un infradito col carrarmato
una serie di cavalli a cavallo del vento
simile al porgere una mandibola
sulla parte articolata della scapola
non come fosse un piatto posto
sotto il naso in basso per indurti
a riempirti, ma più un rovescio
che scaccia via una stagnazione
una stagione cambiata da un dolore
apparente, mentre l'ascensione verso
l'alto e verso il basso non trattiene
la voglia di svuotarsi del tutto
è quello che intendo quando dico
che dovremmo rovesciarci appieno
dai catini ricolmi d'acquolina in bocca
per conseguire una polluzione d'acqua.
Massimiliano Moresco
Attimo eterno d'un costante moto
A vento fresco ritornava marzo
rilucendo d'azzurro l'orizzonte
fermo il frastuono del caos ordinario
attimo eterno d'un costante moto
Valeria Maria Beatrice Motolese
UN ABITO DI COLORE
Ci scrutiamo negli occhi, diventati
inquieti gabbiani in cerca di nido
dopo l’affronto delle labbra senza
parole e la prigione dei gesti
nel dubbio di risposte cercate
ma eluse da una distanza
che ci rende estranei a noi stessi.
Sono giorni sconosciuti nella logica
di un paradosso che pietrifica ogni
possibile slancio d’amore a ricucire
trame di un vissuto che chiede
un abito di colore per vestire
ancora di speranza la prospettiva.
Gabriella Paci
A MIO PADRE
Come pianta cresciuta senz’acqua
sei restato in disparte sui bordi
evitando strade larghe ai passaggi
nel timore d’un tempo indomabile.
Ombroso e assorto lo sguardo
anche nello sfolgorìo del sole africano
a scansare gli eccessi di troppa
vita che, liquida, sfugge dalle dita.
Silenzi le tue parole d’amore
affacciate negli occhi e nei gesti
nel pudore di un sentire fanciullo
avvezzo alla perdita della conquista.
Eri semplice e contorto come
ulivo dai sapidi frutti
cresciuto in fretta su pendii
ma che dona paesaggi di pace
anche se la pietra è dei luoghi regina.
Gabriella Paci
Un giro in do
Non so
le lettere che ho scritto
si chiudevano con una frase sempre uguale
Piegavo le lettere
facevo attenzione
prima in verticale
poi in orizzontale
per prendere la forma delle tasche
Una frase sempre uguale all’ultimo giro
Con amore
Al mio capitano con il cuore sulle labbra
Non morire mai
e la data che non permette bugie
Vi ho tenuto svegli
vi ho sputato addosso
senza nessuna scusa
racconti di emozioni barbare
e di classi di scuola superiore
di facce come luoghi
e luoghi che sono proprio facce
Dovevi vederla la gente
la gente che leggeva le lettere senza usarle
Si
la gente ascoltala bene
quando è alle prese con chiacchiere da quaderno
punta il dito
segue le parole col dito sulla pagina
osserva il calco della memoria
e non dimentica
Pagine chiare per i miei lupi
per le bocche sdentate dei santi
per i cavalieri del lavoro
per le piccole quote della minoranza
calda di pane
E scure
anche
per la cenere sul bordo di ogni giorno
che pulisci e si fa trama
pulisci e s’allarga
strofini e ritorni
Agli autori con un certo microclima
verrà da sbuffare
Certo
Userete parentetiche e anagrammi
Sdrucciole
Molte sdrucciole
Avverbi di moto a luogo
Io userò il vino
Il mio vino per arrivare qui
ha stupito più di una stagione
ha accordato la chitarra sul do
e si è fatto carne.
Silvana Pasanisi
UNITI SI VIVE
Brilla la campagna che dal balcone
di casa mi ammicca e sorridono i tanti
disseminati per larghe balze
ciuffi di ginestre nel pieno del loro splendore;
mi soccorre l’immagine vesuviana
del fiore del deserto, forte e vivo.
A fronte del potere distruttivo della natura,
l’uomo solidarizza e contrastare osa
l’onnipotenza del dolore; in realtà i ciuffi
solidali di ginestra non hanno bisogno
di impartire lezioni di solidarietà
all’ombra del manto minaccioso del gran
Vesevo sterminator, anche su più morbide
e lente colline necessita lo spirito solidaristico,
d’amore, che vocato è al trionfo sperato;
non occorre che la minaccia esterna
si avvicini per spingerci all’abbraccio
fraterno, è utile che impariamo a stare insieme
in ogni circostanza, sulle acque voraci
del Mare Nostrum, lungo le dune assolate
dell’Africa che muore, nelle regioni trafitte
dall’odio che semina morti e distruzione,
nelle contrade di casa nostra dove sempre
più larga si fa la folla dei poveri e più guardinga
la cricca dei potenti, nelle remote e vicine
nazioni dove l’egoismo nelle varie
e cangianti movenze beffa si fa dei lamenti
dei miseri; ed è tutto un cimitero di propositi
alti e generosi a rendere urgente l’abbraccio
fra noi tutti, uomini della terra;
si fa anche più caldo se il sole splende
e la natura ridente ci sorride e ci ammicca.
Non legarsi perché la paura domina,
unirsi perché insieme è più bello
e scema la pena del vivere.
Nicola Prebenna
Per me crepitano colori accidentali
sono dolciumi che vogliono essere
assaggiati E i pittori i loro
pupi dal pennello sornione Mi
piacciono le stoffe sottili e odor
di nespole e mele renette Mi dà
gioia il vento che gonfia e si trastulla
con verde rosa porpora e azzurrino
Immagino un fiume fatto di veli musicali
Io so danzare il valzer anche annegando
pian piano movendo i grani neri del rosario
mentre la luna scroscia su quanto del mio
pensiero è spiegato e accartocciato
fisarmonica che si può cogliere nei bar
fumosi di stazioni piccolissime in fermate
sconosciute I vetri dei vagoni sono
sudici o appannati I viaggiatori avvolti
nel fumo hanno la Bibbia nelle tasche
e fanno ditate sulle valigie assonnate
di treno e di tragitto Voglio sorbire il
tuo volto sospeso sull'amore che è corvino
e rispondere con alucce di fuoco
all'orologio ch'hai in petto fatto
di fosforo e perciò incendiario
La mia vita come tante liquefarà
in un bel grigio senza spiagge nostalgiche
perché io subito ritornerò bambina
con un panino pieno pieno di miele
scarpette di bambole e uno scioglilingua
appoggiato alla panchina molto spaccone
che vorrà essere sonato per violino
canterellato con voce affondata
nel lettino mentre il cielo solleva
il bicchiere e si prepara a rovesciare
le mie speranze avventate
Armando Saveriano
Quante leghe hai consumato dimmi
di quanti porti tentato hai l'approdo
e quale foglia avvolge l'invocazione del nome
Padre Padre mio
La gemma del viso rorida di lacrime
che s'asciugano da sole
ha venduto le mani nelle antiche stazioni
del calvario
Ma dimmi
una vita poi vale se dileggiata e solitaria
fu accampata nel cerchio maligno dei farisei
Ma dimmi tu stringi sempre al petto
la carie beffarda dell'innocenza
mentre le stragi hanno fumo d'arrosto secolare
appena fuor di casa
e i veleni folleggiano nelle arterie del mondo
Dimmi chi ti ama
chi ti ha depredato dell'angelo custode
cosa nobilita la tua storia senza dimensione
se non l'estrema immolazione del tuo sangue
Cristo è risorto
tu sei cucito
nella mia bocca
Armando Saveriano
MILLE RINASCITE E ANIME DI MAGHI
Ha greti sorprendenti la memoria:
è una immensa linea che s’incurva.
Impalpabile la chiave universale
ad uso dei guardiani dei ricordi
raccolti in vasche oltre la diga dell’oblìo.
Riposano, zampillano, si ingarbugliano
sciolgono le nebbie, si riadagiano
in grembo alla quiete
ma intanto hanno inasprito i rimpianti
inzuccherato sopìte nostalgie.
Nocchieri illusi noi sul brigantino
imprevedibile del Fato
solchiamo un presente che sempre ha da rimproverarci
quel che per egoismo o per viltà tradimmo
o quanto ricacciò barbaramente
sul fondo del bicchiere le speranze.
E quando meno ci si aspetta
ecco che li armano, i ricordi
le fumane dell’infanzia a rimestare il becco
in mezzo al carreggio di beffe disattese;
oppure l’odore delle caldarroste
quando la festa di Maria
il paese colorava di palloni e bancarelle;
o, ancora, il puntale di un ermo campanile
al di là della gerla di ginestre e lupinella
dell’intralcio di pattume, di ferraglia
una risata cocente; la sinfonia ascoltata a sedici anni
da uno spirito di sogno;
la risacca lieve di una litanìa
che segna il cerchio della fiamma.
Così le acque meno conosciute del pensiero
esposte ai capricci della bussola del tempo
danno una scricchiolante percezione del dolore
una precisa ambascia di quando una cieca cupidigia
sulla carità prese il sopravvento
e ogni tanto
all’estasi ci riportano di un momento irripetibile
intrappolato dentro una lucciola di eterno.
Negli otri di vizi e sprechi, nei mulinelli di collere e delizie
per cui siamo maledetti, divorati dal brulicare di vergogne
tragicamente ignari o incuranti della dannazione
invano è invocata, chiamata in causa la ragione:
non c’è moderazione.
I ricordi più saggi resteranno futili maestri.
Eppure -fortunatamente- un dono ci rimane
e sopravvive:
abbiamo mille rinascite noi tutti.
E anime di maghi.
Armando Saveriano
Non siamo che l'illusione di noi stessi
strappati al rovo delle verità
Ci sparpagliamo per un mondo
di muraglie di cancellate
di luci chiassose e di strepiti accecanti
Qualcuno ci convinse
che saremmo scampati al fulmine
che orrori e morte
fossero ovunque ma non accanto a noi
E ci fornì di un dio indimostrabile
di un'anima propagata nel corpo
e l'indissolubilità dall'eterno
Ma l'eterno
anch'esso perisce nell'inimmaginabile
o adesso in questo soffio spezzato
dell'istante che ci deride
che noi si sia santoni papi ministri
o re o rissosi fatui poeti
che s'abbeverano al rallentatore
di un diamante scuro
L'amore cancella l'equazione
del cuore che tradisce
sotto il mosaico di future sofferenze
Un figlio ci carpisce gli anni
ci accorcia il passo o la falcata
Sopravvivrà
e noi lo odiamo per questo
ci vedrà nel tremore di un letto
nudi infreddoliti a trangugiare
da amare cucchiaiate di legno
balbettanti sospirosi
umidi di saliva e piscio
le mani di cera i piedi vizzi
la mente sgravata che non fa più
parti gemellari e tira solo reti flosce
vuote
i denti a giacere in un bicchiere
Come questo accade
come tutto questo continua ad accadere
non ce lo può spiegare
il tempo
assiso sui gradini della scala
Armando Saveriano
IL POETA
Con la sua penna raccoglie ogni attimo
e descrive l'emozione dettata dal battito.
Osserva il mondo con occhi diversi,
lascia al cuor l'ispirazione per i suoi versi.
La mente vola con la sua immaginazione,
vola con la libertà di un grande aquilone.
Il suo sguardo punta sempre all'infinito,
perchè di superficialità non si è mai nutrito.
Packy Thunder
FOTOGRAMMA
E in un attimo mi son passati
accanto i miei fumetti
il mio compagno di banco
il fischio di mio padre in bicicletta
la formazione dell' Inter
il primo bacio
che diedi quasi per sbaglio
la musica in vinile
il favoloso gruppo
le note e poi gli oggetti
la sola amata lente di ingrandimento
Salgari Mennea
Cassius Clay
e tutti i manifesti
la classe delle elementari
e il mio maestro
tutti in fila lungo il marciapiede
a salutarmi
Batman Robin e l' Uomo ragno
poi anche lei che mi sta aspettando
allora affretto il passo
sono passati alcuni lustri
ma vive in me
il Ragazzo
eppure a Milano
non c'ero mai stato
per quel che mi ricordo
scrivo compulsivo
a volte basta uno scatto
altre ci rifletto
ma non ho mai amato
il pianto
il capitano Uncino
e la mia ombra
oppure è solo
un punto di domanda
Ernesto Torta
IL SONNIFERO E L’OMBRA
se stringe alleanza col desiderio
se non ha tregua
se si aggrappa alla parola
se mi nasconde tra la sabbia calda
l'ombra prende il sonnifero
le viscere del corpo
le stanno strette
così appuntate a matita
senza data
decidere di diventare esseri
brevi
Lucia Triolo
ora mi rimpicciolisco
e mi sogno
un sogno piccolo
piccolo
estremo
come uno scarabocchio
di me
come un'introduzione
postuma:
-quelle... dita che
mi(!?) amavano...-
tu la trovasti
una figura
trovasti
tracciata col lapis
su una roccia
tu raccogliesti il lapis
e scrivesti
la figura sorrise
un sorriso lungo
sette giorni
sette anni
...il sogno…
Lucia Triolo
duri passi cammino
si svuota la distanza
frastornati di onde sotto i piedi
Chi accorcia chi allunga la notte?
A guidare sono membrane sottili e stelle
poi cosa...poi cosa?
mi hai vista nascosta tra le mani
noi come cacciatore e preda senza nuvola in cielo
per favore non portarmi indietro
io ti sono rimorso
io ti sarò rimorso
io concepisco figli
Tu spezzi il
mio respiro con un sasso
sasso e seme è il tuo bacio
Lucia Triolo
NELLE CASE DI RIPOSO
Nelle case di riposo
non si riposa mai,
c’è sempre tanto da fare
nelle case di riposo,
a toglier le ciabatte
poi rimetterle
e toglierle ancora
e contare le dita
molte volte ogni giorno
che qualcuna non scappi
o non si nasconda.
Poi giocare a carte
senza troppe regole,
percorrere gli orli,
piegare i fazzoletti,
scucire i ricordi
e urlare tutti “mamma”
fino a che un giorno
una voce risponderà.
Viviana Viviani
Ho cercato d'amarti
in mille modi
nello spazio d'un attimo eterno
tra gli abissi dei tuoi silenzi
sopra le nuvole dei tuoi affanni
ho dormito sul tuo petto
mentre tu
scostavi il cuore dal mio volto
non sentivo i palpiti
nè il calore della tua pelle
irrorava le mie gote.
Gli occhi spalancati
non spalmavi di miele
le labbra non cercavano baci.
Avrei voluto sprofondare
in un abbraccio morbido e caldo
a tratti sensuale
di carezze e d'amore
sentirti sospirarmi sul petto
ansimare sul collo
entrare nell'anima
affondandovi il cuore .
Avrei voluto vederti
tingere d'azzurro
il primo mattino
e di rosso vermiglio
il tramonto la sera.
Avrei voluto mi amassi
come io t'amo.
Maria Grazia Zagaria
Marechiaro
Marechiaro
ll'anne chiammato,
'stu piezzo 'e Paravise
'ncopp' 'a Terra abbandunato...
'E primma matina,
quann' arbeggia, appriess' 'a notte,
'o sole, nunn' aspetta ca fa juorno,
s'aiza e sponta all'inteasatte.
'Stu cielo bblu'
se va squaglianne dint' a ll'onne
pittannale turchine.
Io, vurria,
cient'anne, st'Ammore sunna'...
Si guarde, luntano,
'ncopp' 'o pizzo 'e muntagna,
se vede 'na luggetta sulagna,
addo' vanne 'e nnammurate
a suspira'....
Partene 'e llampare quann' è sera
e nun ce stà vrezza,
mmiezz' 'o mare calane 'a rezza.
Quant' è bella 'st'acqua argentina,
'mprufumata e sopraffina,
ca, 'mpietto, annasconne curalle.
"Acala! Aiza! Ohee!"
So' vvoce 'e piscature,
so' vvoce 'e marenare
ca se sentane a luntano,
ggente,
ca sule dint' a 'stu mare
sape campa'!
Maria Grazia Zagaria