E COME NEL VENTO GIRANDOLA IL GALLO
Al balcone del mondo
ho affidato i miei pensieri
come in un mattino le parole trovano posto
nel blupigmento di un cielo
che odora di silenzio.
Quello stesso silenzio che placa le battaglie di un giorno
inutilmente trascorso nel clamore delle ore ballerine.
E come nel vento girandola il gallo
che non sa da quale parte fermerà il suo giro
mi volto a un cielo inconsueto
e attendo
Attendo una risposta che nemmeno nel fondo
mi da certezze e mi sazia.
IL LESTO PASSARE DEL VENTO
Nella partenza delle stagioni
resta nell’aria l’odore
dei giorni digiuni
e del lesto passare del vento
tra i capelli e la pelle in calore.
Sulla bussola impazzita
le parole ritrovano i punti cardinali
di un discorrere lento e inconsueto
sulla soglia degli occhi
il tempo intreccia
spighe e gambi d’ortica
sorrisi e squarci di carne.
Ti assale la certa certezza
che va oltre ogni dubbio
oltre ogni muro
oltre ogni finta stanchezza
e sui sanpietrini
scomodi al tacco
i passi si fanno lesti
come a fuggire da occhi sbarrati
da un fiato fin troppo corto
che accompagna e prende la mano
tra un arco e un portone
dove si perde uno squarcio di mare
strappato a una cartolina del tuo passato.
INAVVERTITAMENTE
La gente percorre vie
che non conosce
Trama l'aria che respira
senza freni senza briglie
Naufraga la goccia di sale
asciugata al sole
Regina dell'onda
bianca cristallina
Si fa bella
si lascia cadere nella schiuma
Grembo umido di giglio
sfida al silenzio della costa bruna.
Inavvertitamente
per altro cielo girerai
Nuvola ti farai nuvola
ravvolta in turbine d'ambra e di corallo.
La campana richiama pace al mezzogiorno.
L’UOMO DALLE MANI IN TASCA
Passerà questo lungo silenzio
tra brividi di freddo
e l’abbandono di foglie autunnali.
Passerà trascinato alla deriva
verso l’ultima sponda
come un veliero in bottiglia
che del mare non ha mai
visto niente.
Passerà anche questo giorno
e resterà segreto
il sogno del gabbiano
sullo scoglio.
Di questo inutile giorno
resterà soltanto
quell’uomo dalle mani in tasca
che s’accampa tra le ombre nere
del cortile e il profumo
delle foglie strizzate
dal suo passo incerto.
Nota critica di Armando Saveriano
La poesia abbisogna dei suoi tempi di gestazione: deve inglobare i semi, farli schiudere, veder spuntare, crescere e maturare i germogli. Quando è autentica, sa farsi perdonare ogni prolungata attesa. Qualsiasi parola vanta perciò un suo peso specifico, una ragione o più d’una per essere stata scelta. Pare che attraverso di esse la Musa, l’Allodola Immortale, dichiari e stabilisca: “Qui e adesso, d’ora in poi.” Scosta le tende, spande gli incensi, avvicenda i colori, dichiara e dirime sensazioni e sentimenti, assume una sua verità che non accampa mai pretese di assoluto. Carmela Carmina Esposito non ha accettato, fin dagli esordi, l’azzardo...e come pittrice e come poeta… di un appuntamento alla cieca con il creativo Fare. Ha ben ponderato. Ha misurato i passi. Ha rispettato l’etica dell’arte. Non si è adagiata su un letto cedevole, non ha imboccato allettanti scorciatoie. Perciò ha prodotto un libro denso e plein d’attrait come il precedente Spettri dal lucernario. Qui aleggia costante un mormorio, il sussurro di un dubbio, che un poeta abitualmente, e non senza sofferenza, si pone: Che ho da dire? Ho una gestazione interessante? E dunque la pausa, non inerte, fase anzi propedeutica affinché la raccolta possa venire al mondo e inizi il suo percorso sotto cieli auguratamente propizi. Nel lungo intervallo degli anni, nell’adyton di una personale sua anachoresis, quasi, effettivamente, una autoreclusione, la Esposito ha firmato il suo ritratto dopo e attraverso molteplici esperienze multimediali, grazie all’interesse crescente per la lettura, la pittura, il teatro. Spesso, parafrasando Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere, si è ripetuta, convinta: “La letteratura e la pittura e la messa in opera teatrale costituiscono una difesa...se non la difesa… contro le offese della vita.” In fondo i versi e le pennellate si assumono il compito della rilettura dell’ordinario per esprimere lo straordinario, quand’anche in un minimo dettaglio. C’è sempre, nei dipinti, nelle liriche, uno spiraglio di luce, un soffio d’aria, una presa di saggezza, una opposizione alle tendenze cui porta la negatività esistenzialista di Sartre e dei suoi spontanei adepti e prosecutori. Il pessimismo iniziale e propedeutico della poeta si risolve in una elaborazione che assicura o inventa (da invenio) un senso al reale o apparente non senso di cose e accadimenti. La sua poetica trae forza da una certa rassicurazione della fede nei programmi, della fiducia in se stessa, dell’impegno giornaliero nell’emancipazione costante di segni, punti e simboli, di forme narrative e discorsive, di mappe visuali che assommano alla piana colloquialità il nocciolo meditativo. Il titolo “Ombrature e chiarìe”, allude a un punto di equilibrio...a un sistema di punti di equilibrio...die richtige Ausgeglichenheit...attraverso il quale, felicemente e con sapienza, con ‘mestiere’, l’autrice ottiene sul piano orale, su quello grafico e specialmente su quel ‘rispecchiamento’...caratteristica umana fisiologica che indichiamo come empatia...una specifica tensione espressiva del sentire, la notifica di una sensazione, di un presentimento, di una visione, di un’azione qual che sia , e che porti in sé liberazione e dolore, il dolore dell’abreazione, necessariamente in quest’ordine. La Poesia non ha forse, tra le sue multifunzioni, anche quella, e soprattutto quella, di provocare delle scariche emozionali?
Carmina ancora e sempre si racconta ed espande la propria acutissima e incontaminabile sensibilità; lo fa sotto metafora, anche se essa è talmente sottile da lasciar intravedere molto di più di quel che la trasversalità non suggerisce. Dopo la tempesta emotiva del momento, la poeta ricompone, in virtù di ciò, un’atmosfera conciliante, che vela un’ansia di spiritualità e di verità, al di là dei limiti espressivi; per corroborare e perfezionare le immagini, la pittrice ricorre alle parole, e viceversa, la poeta ricorre al colore scalzo, cioè il segno rivelatore che riscatta ogni prolasso di debolezza. Al notturno che non risparmia angosce e timori, si succede la chiarìa. E nell’un aspetto come nell’altro, Esposito, nel rovello e nelle fascinazioni dell’intelletto, riveste entrambi i ruoli di manceps e vector, capitana e passeggera, percorrendo, fendendo quella che Rita Levi Montalcini definiva la galassia mente, nella ricerca delle strutture biologiche a monte della creatività; e qui la sua riconoscibilità sta nell’estro ancipite del logos (l’uso della parola) e dell’orasis/fasma (il vedere e l’apparizione) quando pennello e stilo coincidono, combaciano alleati. Il risultato è questa crinis cometae, la coda di una cometa che si inoltra nel sé, nella specularità dell’io durante le fasi alterne della vita, magari dall’arte sublimate in un frequente intreccio mnestico e premonitorio, in una profonda immersione nel reale e in un suo salvifico distacco.
I versi di Carmina traboccano di vita, cantano la legittimità di un tendere alla conquista, sempre perfettibile, del valore etico, a partire dal nucleo familiare. La poesia e altrettanto la pittura, interlocutrici privilegiate e privilegianti, e puntelli efficaci, sublimano, s’innervano nel concetto metalogico della coincidentia oppositorum, assumono la mistica sembianza di una ‘vicinanza’ consolatoria, addirittura riparatrice; consentono alla donna, alla moglie, alla madre, all’insegnante, di affrontare e reggere il nonsenso spastico del mondo, un mondo intriso di solitudine, ma anche, a saperla cogliere, di speranza. E la speranza cos’è se non il valore dietro al niente, il farmaco che si oppone all’angst sempre in agguato, la tensione verso l’Alto? Ripartita in tre tranches, che contemporaneamente uniscono e assommano, usando il colore come spinta, come possesso interiore, come respiro che canta e in qualche modo affranca, libera, questa raccolta ha una precisa permanenza nell’Io che sa farsi Noi, enuncia una costante morale, che si oppone, o che tenta di farlo al meglio, alla radice atavica dell’egoismo.
Mai privi di stupore e di incanto, i versi si soffermano e scivolano lungo un’anima dolente e mai doma, donata alla malinconia e al risorgere di un ristoro ineffabile: “Al balcone del mondo/ho affidato i miei pensieri - si disvela la Esposito - come in un mattino le parole trovano posto/nel blupigmento di un cielo/che odora di silenzio//...Attendo una risposta che nemmeno nel fondo/mi dà certezze e mi sazia”; “Nella partenza delle stagioni/resta nell’aria l’odore/dei giorni digiuni/e del lesto passare del vento//...le parole ritrovano i punti cardinali/di un discorrere lento e inconsueto//...sui sanpietrini/scomodi al tacco/i passi si fanno lesti/come a fuggire da occhi sbarrati/da un fiato fin troppo corto/che accompagna e prende la mano/tra un arco e un portone/dove si perde uno squarcio di mare/strappato a una cartolina del tuo passato.” Non è possibile non citare le atmosfere prévertiane che eccita all’immaginario il componimento “L’uomo dalle mani in tasca”: “Di questo inutile giorno/resterà soltanto/quell’uomo dalle mani in tasca/che s’accampa tra le ombre nere/del cortile e il profumo delle foglie strizzate/dal suo passo incerto.” E così pure l’acume delle osservazioni e delle percezioni nel testo di “Inavvertitamente”: “La gente/percorre vie/che non conosce/Trama l’aria che respira/senza freni senza briglie/Naufraga la goccia di sale/asciugata al sole/Regina dell’onda/bianca cristallina/Si fa bella/si lascia cadere nella schiuma/Grembo umido di giglio/sfida al silenzio della costa bruna/Inavvertitamente/per altro cielo girerai/Nuvola ti farai nuvola/ravvolta in turbine d’ambra e di corallo// La campana richiama pace al mezzogiorno.”
Ed al lettore… al Baudelairiano hipocrite lecteur, mon semblable, mon frère...un lettore che sappia leggere oltre e a fondo, un lettore che l’autrice vuole consapevole, non tanto complice, ma controparte, empatica ricevente...lasciamo il piacere sospensivo della scoperta.
Armando Saveriano