BIOGRAFIA
Nata a Cascina, (PI) Serenella Menichetti ha insegnato per trentacinque anni, nella scuola dell’infanzia. Collabora con il Blog Alla volta di Lèucade. Scrive poesie, racconti e si occupa di letteratura per l’infanzia. Ha partecipato a molti concorsi di poesia e narrativa classificandosi spesso ai primi posti. Ha pubblicato poesie e racconti su diverse antologie. Nel 2013 ha pubblicato la silloge poetica con la casa editrice Del Bucchia Figure Mandaliche e Poesie scritte a Lapis. Nel 2016 ha pubblicato la silloge poetica Fiore di Loto vincitrice del premio Iplac e “Giovane Holden”. Nel 2018 ha pubblicato il libro per l’infanzia “Filastrocche-Filasuone e Favolstrocche” Giochi di parole per aprire il mondo dei libri e mettere le ali vincitore di ben due concorsi per l’infanzia. Nel 2018 ha pubblicato la silloge Oltre la Soglia in cui c’è una sezione dedicata alla Nuova Ontologia Estetica “Oltre la Soglia”. In pochi mesi dalla sua uscita si è aggiudicata diversi premi: Premio speciale città di Conza; un secondo posto al premio Athena e un premio speciale al concorso Thesaurus, finalista al premio Camaiore ed un primo premio al concorso Europeo Clemente Rebora.
Nel 2020 ha pubblicato la silloge poetica “Due donne in poltrona” Il libro di narrativa “Trame bucate” e la silloge poetica “Len ta mente”
I progetti di scrittura sono molti e vari. Per quanto riguarda la prosa, a breve, sarà pubblicato un romanzo ambientato nel paese natio. “Il CERCATORE DI MEMORIE “Si tratta di un romanzo, sviluppato su diversi piani temporali.
Seguirà un libro di favole ed una nuova silloge poetica.
Dichiarazione di Poetica
Sicuramente, il seme della poesia fu gettato nel mio terreno molto presto. Ero in culla quando una prozia, alla quale ero spesso affidata, mi faceva addormentare declamando poesie. Pascoli e Leopardi erano i suoi preferiti. Sembra però che il testo poetico che aveva ottenuto l'effetto più soporifero fosse “Il ruscello” di Angiolo Silvio Novaro. Avvolta da una coperta calda di suoni, con il sorriso sulle labbra d'infante, mi lasciavo andare a quella sinfonia. La prozia Dantilia “-Omen nomen-” visto il mio gradimento, per molto tempo della mia infanzia continuò a somministrarmi versi: prima e dopo i pasti.
Ho scritto il primo testo poetico a sei anni, con stupore degli insegnanti e dei compagni. No, non ero una bambina prodigio.
Ero solamente una ragazzina, innamorata della poesia. Essa è stata la mia compagna nei momenti di solitudine. Mi ha tranquillizzato quando la paura e l'angoscia mi scuotevano le viscere. Ha lenito il dolore delle mie ferite adolescenziali. Eppure, ad un certo punto della mia vita, con grande rammarico ho dovuto staccarmi da lei. La famiglia. I tre figli. Il lavoro distante da casa. Hanno fatto sì che i miei passi si facessero sempre più frettolosi. Un ritmo serrato si era impossessato della mia vita. La sua grande bocca stava succhiando tutta la linfa. Impossibile fermarsi.
Ho riavvolto il filo della scrittura in un gomitolo di seta rosso, che poi ho riposto.
Mi sono allontanata.
E' capitato che alcune volte mi sedessi alla scrivania per riprenderlo. Ma il senso di colpa prendeva il mio posto ed io dovevo alzarmi. C'era altro da fare.
La consapevolezza che avrei ripreso quel filo non mi ha mai lasciata.
Appena cessato il mio lavoro di insegnante, me lo sono ritrovato tra le dita. Ho iniziato la mia nuova tessitura.
Ma cosa è mai la poesia?
Più di una risposta incerta è stata data in proposito, da molti poeti.
Per quanto mi riguarda, considero la poesia “ Un bisogno primario” simile al mangiare ed al bere.
Penso che un poeta non debba fossilizzarsi in una sola forma, ma essere aperto al cambiamento e alla sperimentazione di forme nuove.
Per dirla con Pessoa:
C'è un tempo in cui devi lasciare i vestiti, quelli che hanno già la forma abituale del tuo corpo, e dimenticare il solito cammino, che sempre ci porta negli stessi luoghi. È l'ora del passaggio: e se noi non osiamo farlo, resteremo sempre lontani da noi stessi.
Poesie
ARIA PISANA
Mi sento spento, quasi imprigionato.
Con gran sollievo lascio Recanati.
Le membra porto nella Pisa dotta.
Per respirare versi e primavera:
costeggio il fiume, e giorno dopo giorno
il pieno faccio, di salute e ardore.
E se un olezzo salubre di mare
sul volto giunge, assai mi rassereno.
Sfilano le carrozze sul lungarno
Ed i cavalli vanno a passo lento.
Palazzi raffinati e monumenti,
gioielli immensi di inebriante luce:
torpore immenso sciolgono dall’animo.
In questa città di pulsante vita
bellezza ed armonia vanno a braccetto.
Ed io le colgo come margherite.
E vivo e sogno, mentre l’Arno scorre.
E creo di nuovo, in questo clima puro.
Amore, gioia ed energia creativa
tornano a rifiorire in questo prato.
La magica atmosfera, interra semi
in uno spazio che pareva morto.
Li sento mentre mettono radici.
E attendo.
Pola 6 Giugno 1946
LA BAMBINA CON LA VALIGIA
E’ uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
adesso abbraccia il collo di un titino.
Il pericolo si è introdotto nella mia casa.
Con enormi zampe nere cammina sulle pareti.
Il suo smisurato corpo invade le stanze.
Percepisco il suo fiato alitare sopra le nostre teste.
Allarmi, fughe, rifugi:
falene impazzite che volteggiano nella mente.
Negli occhi dei miei cari la paura
soffio gelido che inghiotte ogni mio piccolo sogno.
E’ uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
adesso abbraccia il collo di un titino.
Indosso l’abito nuovo confezionato
con lo scampolo di seta dalla zia.
Aggrappata alla valigia mi metto in posa,
seduta, sui gradini della mia dimora, per l’ultima volta.
I petali della mia pianta di geranio presagiscono
l’epilogo della cura e la sua conseguenza.
Ancora le mie gambe conservano
la struggente sensazione della pietra accogliente.
Ancora i miei occhi ospitano la sagoma dell’amata casa.
Il mio mare infinito mi abita e nelle vene ancora scorre.
.
E’ uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
adesso abbraccia il collo di un titino.
Oggi che tra le mie vuote mani, stringo
la foto della bimba con la valigia, che fui
Esule Giuliana n° 30 001.
Penso a mio padre scaraventato nelle fauci della terra.
E neppure il sole riesce a sciogliere il gelo che mi pervade.
Né il tempo, a tamponare il sangue, che sgorga dalle mie lacerate radici.
LO RAGGIUNGERAI' "Sul tema dell'autismo"
Trascinata da un vortice di vento, sbatti sulla parete del silenzio.
Sguardi come stagni vuoti, oltrepassano cieli. Sciolgono nuvole.
Una doccia fredda ti fa rabbrividire. Questa lontananza
ha percorso misterioso. Il labirinto fa arretrare i passi.
Troppo spesso rimani avviluppata nei i tentacoli del suo silenzio.
La sua distanza è fatta di catene montuose e deserti interminabili.
Calzerai stivali chiodati per travalicare le sue montagne.
Ti caricherai le spalle d'otri d’acqua per superare deserti.
Raggiungerai i confini della barca incagliata nel ghiaccio.
Per infrangere il guscio della conchiglia in cui è costretto.
Ogni giorno catturerai con i tuoi, i suoi sguardi.
Con il tuo, il suo sorriso.
E ucciderai con le tue mani, ogni molecola
di questa ignobile distanza che vi vuole separare.
COSE VIVE
Nella casa colonica, in cucina,
troneggia l’ombra del grande focolare.
il catino lamenta un vuoto incolmabile.
L’acquaio gorgoglia, disturbando il rame delle brocche.
La madia sognando la fragranza del pane
trabocca briciole di ricordi.
Più in la, pignatta e paiolo, conversano amabilmente.
E’ un parlottare fitto, di farine gialle come il sole
e di calda polenta.
Dalle finestre aperte un vento di tramontana,
scuote i rami ai ganci appesi.
Traballanti piatti di ceramica, incuriositi,
fanno capolino dalla piattéa.
Sedie impagliate senza corpi seduti,
si stringono attorno al grande tavolo di castagno,
orfano, della tovaglia a quadri.
Da quando i contadini hanno abbandonato
terra e dimora: le note stonate dei tarli
rosicchiano ininterrottamente i minuti.
La grande casa ha orecchie d’elefante.
Tra le spesse mura, le cose, narrano
fantastiche storie che sciolgono solitudini.
Sul pavimento di mattoni rosso
passeggiano calde ombre di ricordi.
SOSPETTI
Scaduta l'ora dell' abbraccio.
La carezza graffia il pugno.
Il bacio resta embrione
che sulle labbra muore.
La mano ciondola sul fianco.
Lo sguardo che dovrebbe sopperire,
infila la lente d’ingrandimento dell’investigatore.
Nelle sale di attesa, a un metro di distanza.
lo sguardo scruta l’altro da noi.
Cerca le caratteristiche dell’untore.
Se l’udito raccoglie un piccolo starnuto,
oppure l’allarmante suono del colpo di tosse.
Senza raccomandazione, l’emittente scivola
nella lista egli indagati.
C’è un signore concentrato che legge Kafka
chissà se fra le pagine nasconda il nemico.
E la signora in grigio con gli occhi incollati
alle scarpe marron, insospettisce.
L’ingresso dal medico, scioglie la tensione
che si ricompatta al suo inatteso starnuto.
Sono gli altri da noi, i sospettati.
Loro i nemici.
Noi i loro.
Ad ogni re la propria corona.
SOSTITUTA D'AMORE.
Che la parola sia nave bianca
a solcare il libero mare della rete.
Che divenga mercantile di luce
per illuminare marinai e naufraghi.
Che sgorghi in telecomunicazione
come ruscello a valle.
Delicata :
quale onda calma che accarezza.
Incisiva:
quale cascata che sposta sassi.
Sia madre che nutre:
di cibo melodioso e ameno.
Madre che autorevole guida:
in caso di bonaccia o di tempesta.
Oggi nel proibizionismo d’abbracci:
Sia
sostituta d’amore.
CELINE E LO SPECCHIO
Celine si cercò nello specchio
affisso all’albero della selva.
Rimase per ore a guardare un’immagine
che non le corrispondeva.
Frammenti di buio e luce si rincorrevano
senza posa.
A tratti scorgeva un volto privo di lineamenti
che si nascondeva nella tenebra.
Con le dita
si cercò la bocca.
Cercò gli occhi.
Vuoto assurdo.
Non riusciva a percepire il suo corpo.
Eppure la mente era attiva.
Solo l’angoscia alitava nel vuoto
delle sue membra.
Nello specchio scoprì il suo colore di tenebra.
Vide il suo sguardo di fuoco.
Il suo sorriso beffardo appariva e scompariva.
Eppure non aveva occhi.
Fu allora che arretrò.
Eppure non aveva gambe.
Quanto odiava quello specchio inatteso.
Avrebbe voluto romperlo.
Si avvicinò a lui e pur nell’assenza
degli occhi guardò.
Buio totale finché:
una grande aquila bianca squarciò la tenebra.
Avrebbe voluto toccare il suo manto.
Accarezzare il suo capo.
In un attimo si sentì trasportare in alto.
E sì scoprì due grandi ali bianche.
Poesie inedite
STRADE SOLITARIE
Il silenzio ha riempito ogni loro feritoia.
I colpi inesorabili della solitudine
le hanno fustigate alla schiena.
Distese su questa città svenuta,
le strade, si sono assopite.
Cadute in letargo come serpi
sognano, le carezze degli umani passi,
il solletico delle ruote, delle auto sulla pelle
e il quotidiano fracasso cittadino.
E' stata la corsa di un bambino.
Il passo veloce del panettiere.
Il cigolare di una vecchia bicicletta.
Le ruote dell'utilitaria dell'operaio.
A spegnere il forzato letargo.
Prima del risveglio:
Esse si sono stropicciate gli occhi.
Si sono allungate in tutto il loro percorso.
Pronte ad accogliere di tutti il cammino.
Semplicemente.
Così, proprio come se nulla
fosse accaduto.
MONADI
A sbarre alzate un treno in corsa
ci ha attraversato.
No, non eravamo preparati.
Non pensavamo potesse accadere.
Adesso che le nostre braccia sono volate via.
Non ci possiamo abbracciare.
E le mani,
queste povere, rugose mani
defraudate dalla funzione della carezza,
gemono.
Non abbiamo più gambe per raggiungerci.
Ogni nostro frammento
non ci appartiene.
E siamo così lontane.
La nostra distanza
è l'oceano che non si può navigare.
E' il fossato del castello, privo di ponte levatoio.
E' il deserto infinito senza un filo di vita.
Isole irraggiungibili.
Ci incontriamo attraverso schermi freddi
senza riconoscerci.
I nostri nomi comuni si confondono nell'aridità delle dune.
E noi!
Tu figlia, io madre,
ci smarriamo in questo gelido paesaggio.
Intervallo senza fine.
Monadi
tra vita e morte
sospese.
ALLA DERIVA
La cattedrale del silenzio
è franata sul giardino fiorito
Sul volto dell’albero di pesco
e sulla cinciallegra dal petto giallo.
La grandine/ la turbolenza del vento.
Il silenzio. La nebbia. Il gelo.
Petali sgualciti nel fango.
Investiti da scarpe giganti.
E corvi gracchiare sui cadaveri.
Il necrologio dell’anima
al ramo di un rovo appeso.
Sillabe di un nome
sciolte in rivoli di sangue.
Un lutto colorato di rosso.
da una cecità assurda.
E quel violino ammutolito, in frantumi
insieme alle bacchette del direttore d’orchestra.
Il caos per far tacere le coscienze.
Senza cognizione alla deriva.
GIORNI TACITURNI
Da giorni, questo liquido silenzio
imbratta le pareti della stanza
il suono della tua voce, su remote rive, naufraga.
Il tuo volto si scioglie in mille rivoli.
L'assenza è il vortice che trasporta
nella fossa della solitudine.
Sul comodino stile marina, la foto
dall'argentea cornice è falso appiglio.
Il corpo vacilla.
Catturato dalla stretta morsa del panico
si sente soffocare.
La bora irrompe nel mio giardino
stermina gli odorosi fiori.
E dei canti spegne l'armonia.
Orfana dei prodigiosi uccelli
La grande quercia, sussulta.
Volto privo di bocca,
naso affilato e colore lugubre.
Hanno questi giorni.
Silenziosamente narrano
di un vuoto incolmabile.
PARETE CON IMMAGINI
Immersa in un silenzio bianco il nulla mi pervade.
Chiodi mi trafiggono, immagini mi percorrono.
Adesso che l’essere copre lo spazio del nulla
sono essere e nulla. Presenza e assenza.
Fermo immagine: La donna tiene le redini delle mucche.
L’uomo a terra, ferma il giogo. La strada scende spudoratamente.
Dalla corona di alloro scendono gocce di sudore.
La ragazza che la porta sulla testa tira un sospiro di sollievo.
Dal vaso di cristallo spuntano bianche calle
Più in basso i lunghi steli verdi li sorreggono fieri.
MODIFICANDO
Dopo aver disintegrato ogni specchio.
Senza pensarci due volte,
con un colpo netto di ascia
mi sono staccata la testa.
Incurante del sangue che
copiosamente esce dalle ferite.
l’ho appoggiata sul tavolo da cucina.
Mi sono seduta davanti.
Percepisco il suo sguardo stupito.
Siamo io e lei/ lei ed io.
Ci guardiamo in cagnesco.
La mancanza degli occhi
non mi impedisce di analizzare
quel volto che mi appartiene.
La cosa che mi inquieta
è il cranio dove il cervello pulsa.
-Smettila gli dico.
Rilassati !
E' allora che le figure retoriche
Cominciano ad uscire dalla bocca.
Una serie di ossimori salta giù
dall’orifizio dell’orecchio sinistro.
E le rime, le dolci rime baciate
quelle alternate e pure le incrociate
escono una ad una dalle narici.
Ci scambiamo un’occhiataccia.
Comprende che c’é ancora altro da espellere
Infatti poco dopo
vomita la parola “anima” senza fiatare.
La parola “cuore” per un attimo
rimane attaccata alla tonsilla destra.
Fino ad affiorare con tutti gli atri ed i ventricoli.
Getto il tutto nell’immondizia.
Mi munisco di sangue freddo
indosso di nuovo la mia testa.
Finalmente leggera
Lentamente ci incamminiamo
In un percorso diverso.