Fabio Larcher - Necronomicon

NECRONOMICON

PER RAGAZZI

 di ismail ibn abdullah alhazredî

 

CAPITOLO 1

 

Lode ad Allah, Signore dei Mondi, benedizione e salute al nostro signore e profeta Muhammad, che Allah lo benedica sino al Giorno del Giudizio. Mi chiamo Ismail ibn Abdullah Alhazredî e sono l’unico figlio maschio di Abdul Alhazred, ossia di colui che è passato alla storia come “l’arabo pazzo”, autore del più grande trattato di magia nera del mondo, l’Al Azif.

Può darsi che voi siate miscredenti e che conosciate quel libro terribile sotto il titolo grecizzato di Necronomicon. Ma quella traduzione in prosa contiene errori e non corrisponde del tutto né al contenuto né alle istruzioni del mio famoso genitore. Diogene Hypnoforo, che lo tradusse quando su Bisanzio regnava Leone III Isaurico, [1]  scomparve misteriosamente nel nulla, credo proprio a causa del suo lavoro poco scrupoloso.

Destino che temo toccherà, in futuro, a tutti coloro che studieranno il suo testo difettoso, credendolo corretto. [2]

Quando mio padre scrisse Al Azif io ero molto piccolo. E quando lo lessi, per la prima volta, non ero poi tanto cresciuto, non essendo ancora un uomo.

Comunque non mi azzardai a posare gli occhi su quell’importante scritto, che, nella forma originaria, fu redatto in poesia, prima che mio padre morisse: mi aveva proibito di farlo perché non conteneva nozioni adatte alla mente di un fanciullo.

Tutti sanno come morì Abdul Alhazred: mentre camminava nel mercato affollatissimo della città di Damasco, in pieno giorno, venne afferrato da un mostro invisibile e divorato, pezzo per pezzo, di fronte alla folla incredula e terrorizzata.

 

Purtroppo sono cose che succedono, quando si ha a che fare con la magia nera. A volte basta una piccola distrazione, una parola sbagliata sussurrata a fior di labbra, una sbavatura nel rito di evocazione delle potenze infernali... ogni minimo errore può essere fatale. Ma si tratta, comunque, di conquistare conoscenza e il rischio vale quasi sempre la pena.

Ci tengo a dire che mio padre non era né pazzo né malvagio né miscredente. Posso anzi testimoniare che egli fu un genitore amorevole e simpatico. Sì, aveva (come tutti) le sue manie, ma non mi fece mai mancare il pane sulla tavola, il vestito addosso, l’educazione religiosa e una carezza che consolasse i miei dispiaceri di bambino.

Il modo sensazionale in cui morì ha perpetuato nella memoria del popolo anche la storia di come egli entrò in possesso della scienza occulta e arcana che gli permise di scrivere Al Azif; tuttavia può darsi che voi siate persone di un paese remoto o di un tempo troppo lontano dal mio e che non abbiate mai sentito raccontare queste cose.

Abdul Alhazred fu, fin dalla prima età, un animo inquieto, avido di scoperte. Per molti anni rimase celibe, in modo che i doveri coniugali non ostacolassero i suoi interessi nei confronti del mistero. Viaggiò molto. Visitò le rovine di Babilonia, le tombe di Menfi e la perduta Irem, Città dalle Mille Colonne. Attraversò il deserto rosso, che noi chiamiamo Raba el-khalyeh, [3] esplorando i suoi segreti e interrogando i suoi enigmi, vivendo, spesso, da solo per lunghi periodi di tempo, come necessitava la sua missione.

Raggiunta, nel campo degli arcani, una certa sazietà, all’età di trent’anni, Abdul Alhazred decise, in fine, di prendere moglie. Sposò Aisha, mia madre, giovane vedova senza prole, figlia di un mercante di capre di San’a e, nel giro di pochi anni, generò con lei tre figli; due femmine e un maschio. Chiamò le femmine Kamila e Zahira; e il maschio Ismail. Da quel momento in poi si diede a occupazioni prosaiche, al commercio di bestiame e all’allevamento di cavalli e non pensò più agli arcani e ai segreti del mondo, per circa cinque anni.

Un giorno, mentre viaggiava nel deserto d’Arabia, con altri mercanti, vide delle antiche rovine e provò il desiderio di osservarle da vicino.

I suoi compagni di viaggio lo sconsigliarono di avvicinarsi alle macerie di quell’antichissimo villaggio, che erano là da sempre, da quando gli avi dei trisavoli dei loro avi percorrevano la strada carovaniera del deserto, perché giravano brutte storie su di esse: storie di voci ronzanti, simili a quelle di insetti invisibili; storie di misteriose sparizioni; di ghoul [4] mangiatori di cadaveri; di gente impazzita per ragioni ignote, o per essersi accampata troppo vicino ai ruderi.

Ma lui (è sempre stato un uomo testardo) si ostinò a volerle esplorare. Così abbandonò la carovana e andò a gironzolare tra i muri in rovina e le colonne smozzicate dal trascorrere dei secoli.

Naturalmente (giacché era un uomo molto distratto, oltre che testardo) finì subito per smarrirsi in qualche cripta ammuffita e dall’aria stantia, piena di statue mostruose, di strani geroglifici, di affreschi misteriosi e di mummie di “cose” che, certamente, non erano umane.

E non erano neppure proprio morte del tutto.

Infatti, dopo qualche tempo, mentre mio padre imboccava una camera segreta dietro l’altra, esse incominciarono a parlargli.

Possedevano una voce bizzarra, vibrante, che si alzava e si abbassava continuamente di tono, e gli dissero che provenivano da un astro ancora ignoto all’umanità. Nella loro lingua si chiamava Yuggoth [5] ed era, gli spiegarono, l’ultimo astro orbitante intorno al Sole, quello più lontano, il più buio e coperto di ghiaccio, ma che non erano originari di quel piccolo, lontanissimo pezzo di roccia. Yuggoth era solo un avamposto, una colonia. Essi giungevano dagli spazi profondi, al di là della Via Lattea. [6]

Gli abitanti di Yuggoth (che definivano se stessi Quelli di Fuori) non somigliavano per niente a noi: avevano il corpo di crostaceo, camminavano eretti su piedi simili a enormi chele di granchio, avevano molti arti, ali di pipistrello e una testa ovale, piena di piccole piramidi di tentacoli che erano i loro occhi e le loro orecchie.

Essi insegnarono a mio padre la loro scienza e la loro magia. Gli dissero che, se lo avesse desiderato, avrebbero messo il suo cervello dentro un cilindro di metallo, attraverso una piccola operazione chirurgica, e che lo avrebbero portato a visitare il loro pianeta e luoghi ancora più favolosi. Nel frattempo il resto del suo corpo sarebbe rimasto lì, sulla Terra, pronto a riaccoglierlo, perché il corpo, separato dal cervello, non invecchia.

Non so quale perversa curiosità spinse mio padre ad accettare. Forse fu proprio Iblīs, lo Spirito Maligno, a tentarlo. O forse il bisogno di imitare il nostro Profeta Muhammad, [7] il quale, mentre era in eremitaggio, ricevette sotto dettatura dell’arcangelo Jibrīl, [8] i versi del sacro Qu’rân: [9] Abdul Alhazred si sentì magari toccato dalla grazia di Allah, il quale, attraverso questi “messaggeri” superumani, voleva dettargli altre rivelazioni sulla natura delle cose. Sì, io credo che egli si sentisse un novello profeta, anche se i suoi angeli erano terribili, senza essere belli e i suoi misteri erano profondi senza essere forieri di elevazione.

Accettò la proposta di quella strana gente d’Oltrespazio; lasciò che essi mettessero il suo cervello in un cilindro che permetteva alla sua coscienza di continuare a esistere, pensare, percepire, vedere, udire, annusare e ricordare; e partì con loro verso Yuggoth.

Al Azif non è altro che la trasposizione poetica di ciò che egli vide e imparò, nel corso di quella odissea galattica. La gente di Yuggoth lo ammaestrò e, in fine, lo trascinò verso spazi sempre più remoti, sempre più folli, molti dei quali non seguivano affatto le leggi che governano il nostro universo; fino ad arrivare dagli Dèi Esterni, ossia le divinità materiali che i colonizzatori di Yuggoth adorano e servono.

Si potrebbe credere che un simile viaggio durasse anni. In realtà le guide spaziali di mio padre conoscevano un modo per piegare il tempo e lo spazio alle loro necessità. L’assenza di Abdul Alhazred si ridusse a due mesi, alla fine dei quali Quelli di Fuori avrebbero voluto costringerlo a restare per sempre con loro,  ridotto a cervello pensante, imparando per l’eternità nuovi misteri e servendo il loro signore Yog-Sototh, visir di Azatoth.

Ma mio padre si sottrasse a una simile coercizione. Fuggì da loro in modo rocambolesco e badò solo a imprimersi bene nella memoria ciò che vedeva e sentiva; una volta reintrodotto nel proprio corpo, fece ritorno a casa. E qui raccolse i suoi molti appunti, li completò con i vividi e raccapriccianti ricordi del suo viaggio mentale e mise per iscritto ciò che aveva imparato, affinché chi volesse potesse apprendere la vera natura dell’universo, la vera storia del mondo e quali creature e potenze governino il cosmo.

 

[1] Leone III Isaurico (Germanicea, 675 circa – 18 giugno 741) fu Basileus dei Romei (Imperatore d’Oriente) dal 25 marzo 717 sino alla sua morte. L’appellativo “Isaurico” allude alla sua regione di provenienza.

 

[2] Di questa “precoce” traduzione non è rimasta alcuna traccia e non si sa nulla. Essa viene citata esclusivamente da Ismail, cioè l’autore del presente libro. La prima traduzione in greco di cui si abbia qualche notizia è dell’erudito Teodoro Fileta e risale al 950 d.C.

 

[3] Raba el-khalyeh: in arabo: lo Spazio Vuoto.

 

[4] Ghoul: è secondo i musulmani un’entità soprannaturale, le cui origini sono precedenti all’avvento dell’islam. «L’occupazione principale dei ghoul consiste nel battere le campagne, far abortire le donne incinte, succhiare il sangue dei giovani, divorare i cadaveri, urlare nel vento, aggirarsi fra i ruderi, gettare il malocchio, provocare sventure» (De Plancy). La stella Algol ha preso il nome da questa creatura.

 

[5] Yuggoth: probabilmente da identificare con Plutone.

 

[6] Via Lattea (dal latino Via Lactea) è la galassia a cui appartiene il nostro sistema solare.

 

[7] Muhammad (571 d.C - 632 d.C) è stato il fondatore e il profeta dell’Islam. Viene solitamente italianizzato come Maometto.

 

[8] Jibrīl è, nel Qu’rân, l’arcangelo Gabriele.

 

[9]  Qu’rân o Corano è il testo sacro dell’Islam. 

NOTA CRITICA DI ARMANDO SAVERIANO

 

I disegni di Fabio Larcher rappresentano un valore aggiunto alla sua versione del Necronomicon tradotto dall'originale di Ismail Ibn Abdullah Alhazredi, rampollo del più famigerato pater. Cthulhu in persona gli ha trasmesso le immagini telepaticamente, consentendogli di trasferirle in china. Lo scrittore ha dovuto accettare la condizione posta da Cthulhu di porre in dubbio l'esistenza degli Antichi, per non suscitare allarmismi sulla Terra già in ginocchio per il Covid, e causare ulteriori noie agli Dei: Larcher ha colto la palla al balzo per evitare, dal canto suo, la responsabilità di stuzzicare la morbosità degli adolescenti magari pronti a evocare demoni e dei, visto che nel libro sono riportate le formule e i riti di richiamo. Tuttavia la migliore precauzione consiste nell'aver tradotto in italiano i canti che, per funzionare, debbono essere pronunciati nell'impronunciabile lingua degli Eterni. Cosa per le gole umane biofisiologicamente irrealizzabile, se non dopo lunghe esercitazioni dolorose e sfiancanti di anni e anni. La magistrale copertina, la confezione del libro, già in sé giustificano il prezzo di 10 euro.

QUARTA DI COPERTINA

 

Verso la fine del secolo viii d. C., l’ormai anziano Ismail, figlio di Abdul Alhazred, l’ «arabo pazzo», autore del terribile e nefasto Necronomicon, al fine di riabilitare la controversa figura del suo famigerato genitore e per adattarne gli insegnamenti e i rituali alle esigenze della divulgazione popolare, scrisse questo breve testo, il quale è sia il racconto meraviglioso di come suo padre ottenne la conoscenza dei misteri dell’alta magia nera, sia un trattato di magia per principianti. A cavallo tra le «Mille e una notte», un moderno romanzo di fantascienza horror e uno pseudo-grimorio, l’autore si diverte, qui, a riassumere e disegnare i miti di Cthulhu, inventati da H. P. Lovecraft nella prima metà del Novecento.