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Lucia Triolo

BIBLIOGRAFIA


Lucia Triolo è nata e vive a Palermo, nella cui Università ha insegnato Filosofia del diritto.

Il suo impegno come scrittrice di poesia è recente: ha pubblicato per la G.A Edizioni: “L’oltre me” (Maggio 2016), per le Edizioni il Fiorino: “Il tempo dell’attesa” (Maggio 2017), per La Ruota Edizioni: “E dietro le spalle gli occhi” (Febbraio 2018), per BIbliotheke Edizioni: “Metafisiche Rallentate” (Ottobre 2018), per DrawUp Edizioni: “Dedica” (Aprile 2019), ancora per La Ruota Edizioni: “Dialoghi di una vagina e delle sue lenzuola” (Maggio 2019). È presente in numerose riviste e antologie pubblicate nel quadriennio 2016/19.

Numerosi i riconoscimenti: vincitrice per LietoColle dell’ iPoet Dicembre 2017, prima classificata al Concorso internazionale Il canto delle Muse 2017 (poesia a tema), al Premio Gustavo Pece 2017, al Premio AlberoAndronico  2018 (raccolta inedita di poesia), al Premio Città di Latina 2018 (silloge inedita); al Premio Letterario Per Agnese 2019, al Premio Il Sirmione Lugana 2019. Premio Amelia Rosselli al Premio Nazionale di Poesia e Narrativa Città di Conza della Campania 2018, terza classificata al XIX Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa Guido Gozzano ed. 2018, secondo premio in memoria di Duccia Camiciotti, nel Premio internazionale Giglio blu di Firenze, seconda classificata al Premio AlberoAndronico (silloge inedita) 2019 e al Premio ASAS (silloge inedita) 2019, al Premio Città di Latina 2019 (silloge inedita). Quarta classificata al Premio Nazionale di Poesia e Narrativa Città di Conza della Campania 2019, terza classificata per la sezione poesie inedita al Concorso nazionale di poesia “Città di Chiaramonte Gulfi.” Alcune sue poesie  -di cui una anche in traduzione spagnola- sono apparsi in Febbraio 2019 sulla Rivista Atelier Web, in Maggio 2019 su Limeslitere, in Luglio 2019 su Le stanze di Carta, in Febbraio 2020 su Germogli-Tropismi, in Marzo 2020 su AmMargine e a più riprese su diversi quotidiani. Inserita nell’ agenda poetica Il Segreto delle fragole 2020 (Lietocolle edizioni), nell’antologia Poeti per L’Infinito (V. Guarracino a cura: di), nell’evento Cartoline per Leopardi (V. Guarracino e A. Di Mineo: a cura di), nella recentissima antologia italo-tunisina Nello stesso mare (Abdallah Gasmi e Lucilla Trapazzo a cura di). Da ultimo finalista al Premio InediTo colline di Torino 2020, al premio Alda Merini. La sua raccolta inedita “Debitum” è stata oggetto di segnalazione al Premio Montano 2020, XXXIV Ed.

Dichiarazione di Poetica

Scrivere, per me, ha a che fare con un trauma, se vogliamo con una ferita. Parlo di trauma, ferita, per indicare non tanto un evento doloroso quanto l’irruzione di qualcosa di sorprendente che stravolge un ordine, un sistema di regole e certezze acquisite e mi espone a una condizione di squilibrio e di precarietà; qualcosa, insomma, che ha a che fare con il mio lato debole perché mi capovolge, quasi mettendomi a testa sotto e piedi in aria.

Posso prendere a prestito l’immagine molto evocativa e provocatoria dei “Libri Unici” della Casa Editrice Adelphi, per dire che la mia poetica prende forma perché a me “è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto”.

Un’urgenza la presiede: quella di guardare da un’angolazione diversa tutto ciò che chieda di essere “visto”, “sentito” ad un qualunque livello, per essere ”detto”, tutto ciò che richieda uno sguardo idoneo a far nascere la parola, a far segno. Dispersi come siamo nei nostri giorni, nei nostri anni, tra la gente, tra le mille cose da fare, irriducibilmente dispersi, soprattutto, entro noi stessi, ciò che a me si impone è, per così dire, un punto fermo in continuo movimento. L’immagine che potrei offrire per spiegare ciò che intendo con questo strano ossimoro è forse quella di una fessura, di una feritoia (forse, ancora la ferita) da utilizzare per costringere lo sguardo ad assottigliarsi, a farsi acuto, ad assoggettarsi maggiormente al potere di novità, di sorpresa delle cose che ci si fanno incontro fino a inabissarsi in esse, senza mai catturarle e senza neanche la tentazione di farlo. Per uno strano gioco ottico, la ferit(oi)a può anche diventare un cannocchiale che ingrandisce la scena e nello stesso tempo la approfondisce.

Ciò che qui entra in questione è per molti versi un rischio, una provocazione: non c’è nulla infatti, per chi sa guardare, di cui non si possa “dire”; nulla dell’esperienza umana (anche la più atroce) che non sia rilevante per acquistare risonanza nella parola.

Lo sguardo che si proietta oltre la ferit(oi)a di cui dicevo, infatti, non sceglie ciò che vede né vede qualcosa che ha scelto, ma si trova a darne conto, con tutta la responsabilità che questo comporta. La mia poesia si affaccia (o cerca di affacciarsi), appunto, su ciò che vede, per affondarvi e mettere lì radici.

Ciò che si crea così in essa, di volta in volta, è il gesto di dare (un certo tipo di) realtà a ciò che non ha accesso alla mia personale realtà di carne: dare un corpo di voce e di parola a ciò che non ha corpo di carne: attribuire quindi un corso di azione più o meno incisivo a un insieme di segni linguistici, grafici.

Ed è a questo punto che la mia esperienza poetica si imbatte in ciò che non esito a definire un’esperienza di bellezza, ma anche, come accennavo, di rischio. Eccone le ragioni:

-il percorso (gesto) poetico, dicevo, è sempre un andare della parola verso l’umano, nel senso più umano dell’espressione (dolore, gioia, paura, amore, solitudine, socialità…)

-ma la parola di per sé è già umana, nulla c’è di più umano della parola

-quindi, ammettere che la parola poetica vada verso l’umano (cioè verso la radice di ogni parola) significa ammettere che va verso qualcosa in cui è già.

- ne viene che per realizzarsi deve, per così dire, far esplodere la sua radice.

-se si pensa poi che quell’avventura irripetibile che è l’ uomo è un enigma, allora l’andare della parola poetica verso l’umano è sempre inevitabilmente un andare della parola verso un enigma.

Ecco il rischio, il rischio poetico che mi cattura: una parola (la mia), un insieme di parole (il mio) va verso l’umano travolgendo, sconquassando o più semplicemente ricreando tutto ciò con cui entra in contatto perché l’enigma che ci caratterizza in quanto uomini è un non-sapere:

Mi piace pensare che, quando l’operazione poetica riesce -e non è affatto detto che accada sempre-, il suo esprimersi sia un frantumare il già detto, anche poetico, proprio mentre si fa poesia. La poesia, per me, salta sempre il poeta e se stessa. Va oltre, per ritornare a insistere dentro l’umano. É un movimento di andirivieni continuo, un andare e restare: andare mentre si resta, restare mentre si va.

 

In questo senso, ritornando al paradigma dei “libri unici”, ogni mia poesia, in quanto stravolgimento è un’esperienza unica, nel suo genere. Perciò sono molto felice se qualcuno dice che quando scrivo è come se scrivessi sempre per la prima volta.

Poesie Inedite

IL MARE E LE PAROLE


le parole sono arrivate sulla risacca

dove le ha spinte il mare

hanno avuto il coraggio di tuffarsi

senza salvagente

e ora

parole annegate

sembrano conchiglie

ripetono un amore

un giuramento d'amore

sfrattato dal silenzio di ciò che ha fecondato

---

Io dimentico il significato del

mio grido

il vento che ha sbranato il tacere e la voce

 

LUNGHE PASSEGGIATE


con un bicchiere di vino

tra le ginocchia

lunghe passeggiate

Il Venerdì Santo praticavo il digiuno

ma non avevo locuzioni interiori

forse ora uscirò di scena

come buono a nulla

 

malia

il lembo zuppo di una veste

aspetta

l’autobus 

 

I VOLI DEL COVID

 

in quei luoghi

dove si compie il tempo

la porta sbatte

lascia passare dentro e fuori

 

e noi scritti da

claudicanti promesse

per date scadute dai visi interrotti

come voli del covid:

chi le aveva

ha perso le chiavi del pane

 

In quei luoghi

dove si compie il tempo

il mare risucchia le cose che

restano senza più onde:

 

chi continua a calare i pantaloni

a sogni nudi e senza cosce?

chi corteggia ancor oggi

la sorte?

 

in quei luoghi

dove si compie il tempo...:

si lì proprio lì ricordi?

io e te cantammo il si e il no

lì dove io fermo

ascoltavo il vento

esattamente lì dove tu

 

volavi